sabato 12 aprile 2025
Il soprano presenta il suo nuovo disco su Piccinni e il ’700 napoletano: «Allora in città c’erano quattro conservatori, la cultura musicale europea veniva da lì»
Il soprano campano Rosa Feola

Il soprano campano Rosa Feola - Todd Rosenberg - Berty Boy Productions

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Potrebbe essere una questione di dna. Un legame con una terra, la Campania, che resta dentro. Questione di radici. «Che riemergono. Perché cantando questa musica mi sono resa conto che vengo da lì. Che la mia formazione attinge a quella musica e che i miei maestri, che si cono formati negli stessi luoghi , nelle stesse sale dei compositori del Settecento napoletano, hanno lasciato in me un’impronta indelebile». Rosa Feola è nata in provincia di Caserta. «E mi sono formata a Napoli dove un tempo c’erano ben quattro conservatori che formavano musicisti che andavano poi a portare il nome dell’Italia in Europa». Il nome della Scuola napoletana. Quella che nel Settecento ha segnato in maniera indelebile il panorama culturale europeo. «Wolfgang Amadeus Mozart viene da qui» dice il soprano campano, classe 1986, impegnata stasera, 12 aprile, al Teatro Petruzzelli di Bari con quello che nel pop si chiamerebbe un live. Con Antonio Florio e la sua Cappella Neapolitana Rosa Feola proporrà per la prima volta dal vivo le dodici tracce di Son regina e sono amante (uscito in formato cd per Pentatone e scaricabile sulle principali piattaforme di streaming e down-load), primo capitolo di un percorso alla riscoperta del Settecento napoletano. «Partiamo con Nicolò Piccinni – racconta il soprano – che è nato proprio a Bari, città dove stasera canto le sue arie che abbiamo messo nel disco».

Diciamo allora quali sono, queste arie, Rosa Feola.

«Arie che raccontano storie di donne. Innanzitutto quella che dà il titolo al disco, dalla Didone Abbandonata su libretto di Metastasio. Poi pagine dalle opere francesi come Le faux lord o Atys, arie dalle opere italiane come La capiricciosa, Ciro riconosciuto, Artaserse, La schiava. Con Florio e con il musicologo Dinko Fabris abbiamo deciso di non mettere nessuna pagina dall’opera più celebre di Piccinni, La Cecchina, ma di proporre Majo p’e la capo, aria in dialetto napoletano da Lo stravagante. Tre stili diversi, tra racconti di donne di diverse classi sociali che Piccinni caratterizza alla perfezione. Tutte pagine che abbiamo trascritto dagli originali del XVIII secolo e che proponiamo cercando di farle rivivere nella loro dimensione più intima, quella delle esecuzioni private dell’epoca. Dopo Piccinni toccherà ad Antonio Sacchini».

Perché il Settecento napoletano?

«L’appartenenza è un fuoco che brucia dentro. Date le mie origini campane non posso ignorare l’obbligo morale di voler riscoprire questo repertorio che ha anche segnato l’inizio della mia carriera quando Riccardo Muti mi ha chiamata per cantare I due Figaro di Mercadante a Salisburgo dove il maestro aveva dedicato il Festival di Pentecoste proprio alla Scuola napoletana. Già da allora, e ancora di più oggi, ho provato sulle mie corde vocali questo tipo di repertorio e ho notato che mi sta bene sia vocalmente che a livello interpretativo».

Cos’è stata la Scuola napoletana per la musica dell’epoca e che cos’è per quella di oggi?

«Napoli era fonte di nuovi talenti che venivano sfornati dai quattro conservatori cittadini che preparavano tanti musicisti che poi andavano in Europa portando tutta la sapienza della scena napoletana. La musica napoletana del tempo ha messo le basi della musica di oggi».

Ha citato Riccardo Muti che da sempre porta avanti questo discorso. Lo coinvolgerete?

«Muti è stato per me la luce sul mondo della musica, sicuramente gli racconterò il progetto e ascolterò volentieri i suoi consigli».

Perché scommettere sul cd? Funziona ancora in tempi di musica liquida?

«Ormai lo stesso giorno in cui un disco viene distribuito nei negozi compare anche sulle piattaforme digitali perché oggi è sicuramente questa la via da seguire. Però ci sono ancora appassionati che vogliono l’oggetto fisico, da collezionare».

Il cd oggi diventa live nel concerto al Petruzzelli di Bari.

«L’esperienza del concerto può coinvolgere in maniera diversa un pubblico che non frequenta abitualmente questo repertorio. Questo, certo, vale per qualsiasi pagina perché ascoltare musica in teatro è diverso e molto più coinvolgente che farlo in disco. È condividere un ascolto con altri. Il tutto esaurito che abbiamo per il concerto di questa sera dice che il pubblico ha la curiosità di riscoprire un repertorio che è stato per troppo tempo trascurato».

Cd, piattaforme digitali, concerti… quanto è importante diversificare l’ascolto anche nella musica classica?

«È fondamentale perché l’arte si può veicolare con più mezzi. Io ascolto musica scaricata sul cellulare e vado a teatro. Sono tutte esperienze che mi arricchiscono, in ogni caso e in modo diverso».

Guardando la sua agenda e vedendo i ruoli che sta affrontando sembra che stia imprimendo una svolta al suo repertorio, da Nannetta ad Alice nel Falstaff che ha cantato di recente al Teatro alla Scala…

«… non solo, se tra poco sarò ancora Susanna nelle Nozze di Figaro al Metropolitan di New York, in autunno a Washington vestirò per la prima volta i panni della Contessa nello stesso titolo mozartiano. È giusto seguire ciò che la natura suggerisce, non forzando la voce e cedendo a richieste che ci fanno stare comodi. E questo è fondamentale per far sì che la carriera duri a lungo, tanto più oggi di fronte a una generazione di cantanti che cerca tutto e subito ».

Che ruoli le piacerebbe affrontare, allora?

«Mi piace pensare a un’evoluzione della mia voce e della mia carriera che va di pari passo alla mia evoluzione di donna. Ho avvicinato Traviata di Verdi con la maturità ed è stato giusto così, perché il mio essere una donna adulta mi ha fatto capire meglio i sentimenti di Violetta. Mi piacerebbe affrontare le regine donizettiane e poi, ma solo a fine carriera, magari una Madama Butterfly».

Come concilia carriera e famiglia?

«Occorre tanta organizzazione e tanta collaborazione di una grande famiglia, pronta anche a cambi di programma improvvisi. Ho una figlia di tre anni che si chiama Renata, come Renata Scotto che per me e per mio marito è stata un grande riferimento. Aspettavo Renata nel 2022 quando alla Scala cantavo lo Stabat Mater di Rossini per l’Ucraina. Quando Juan Diego Florez intonava il suo Cujua animam sentivo mia figlia muoversi nella pancia. Ecco il potere della musica».

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