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Luca Bernabei, amministratore delegato di Lux Vide - IMAGOECONOMICA
La Lux Vide è una sorta di azienda “familiare”, una factory situata in un’elegante palazzina del primo Novecento del quartiere Prati di Roma, dove dominano i colori allegri e le stanze pullulano di giovani, moltissimi dei quali provenienti dal Master in International Screenwriting and Production – Misp, dell’Università Cattolica di Milano. Luca Bernabei, alla guida con la sorella Matilde della casa di produzione Lux Vide, di cui sono rispettivamente Amministratore delegato e Fondatrice Presidente onorario, ci accompagna personalmente fra le stanze in cui nascono i più grandi successi della tv italiana. Basti vedere gli ascolti su Rai 1 dell’ottava stagione di “Un Passo dal Cielo” appena terminata o della quattordicesima di “Don Matteo” o dell’ottava stagione di “Che Dio ci Aiuti” attualmente in onda con grande successo su Rai 1. Una fabbrica dei sogni Made in Italy in cui si respira positività e rispetto che provengono da una lunga storia di famiglia a partire dal creatore di tutto ciò, il mitico Ettore Bernabei, storico direttore generale della Rai dal 1961 al 1974 e fondatore nel 1992, insieme alla figlia Matilde, della casa di produzione Lux Vide, oggi parte del gruppo Fremantle.
Luca Bernabei, questa è una avventura televisiva di famiglia?
Lux Vide nasce su una intuizione quasi profetica di Ettore, che voleva «portare acqua pulita nelle case degli italiani» – intendendo programmi tv pensati e di pensiero – «in un mondo pieno di acquedotti», come la Rai di cui per anni era stato direttore generale. Al suo fianco arriva subito mia sorella Matilde. Mio padre aveva grandi intuizioni, visione e soprattutto una spiccata capacità editoriale, mentre Matilde una grande capacità manageriale. Fu lei a intuire che andavano mantenuti i diritti in-house. Sin dall'inizio Lux Vide è stata una società “imprenditrice” di questo settore, ci ha investito e si è finanziata. E poi sono arrivato io ad occuparmi della produzione.
E l’obiettivo è sempre stato un prodotto per famiglie?
Mio padre voleva che si sviluppasse un prodotto per far stare la famiglia insieme. Aveva però una concezione “antica”, da credente, in cui lo spettatore va rispettato. Il suo caposaldo era che nei prodotti che facciamo si deve capire chiaramente che da un lato c’è il bene, dall’altro c’è il male e nel mezzo l’uomo che ha possibilità di scegliere, con un Dio creatore sopra tutto e tutti a determinare un sistema di valori orientato al bene. Non necessariamente devono essere fiction religiose, ma devono essere fiction ispirate.
Comunque la Lux Vide ebbe subito successo col progetto kolossal della Bibbia tv.
La seconda grande intuizione di mio padre fu la Bibbia tv, che lui e Matilde riuscirono a vendere in America. Trent'anni fa la Bibbia fu realizzata con ebrei e cristiani di tutte le confessioni, fu una cosa meravigliosa. E dopo è arrivata la Lux, quella più mia e di Matilde, che faceva progetti che non parlavano solo di religione. Certo, abbiamo girato le storie dei santi, e non le rinneghiamo.
Quanto sentite la responsabilità in quanto produttori di quello che viene trasmesso in tv?
Karl Popper nel suo saggio “Cattiva maestra televisione” nel 1994 diceva che chiunque sia collegato alla produzione televisiva dovrebbe avere una patente, una licenza che gli possa essere ritirata a vita qualora agisca in contrasto con certi principi. Noi a volte passiamo giorni a riflettere sulle sceneggiature per capire se una cosa è giusta o sbagliata e che ricadute avrà sui telespettatori. A volte in moviola tagliamo delle scene per essere sicuri che non ci sia nulla che possa sconvolgere il pubblico o produrre effetti mimetici in chi guarda. Da comunicatori, tutti quanti noi dobbiamo pensare seriamente a quello che facciamo, perché noi entriamo nella vita delle persone.
Che esempio danno i vostri protagonisti?
I nostri protagonisti sono supereroi senza mantello. Come “DOC”, un medico che fa bene il proprio lavoro ed è circondato da medici che cercano di farlo al meglio. O Blanca, una detective cieca, che ha fatto della sua disabilità un punto di forza. O ancora Don Matteo, un prete detective ma detective dell'anima cui non interessa assicurare i colpevoli alla giustizia, ma salvare le loro anime. In tutto ciò che facciamo cerchiamo di mettere un pochino di speranza. È un'altra cosa grande che ci ha insegnato nostro padre.
Nelle serie tv più alla moda, spesso invece c’è un tasso di violenza non indifferente.
Mio padre – che era un democristiano allevato da grandi maestri come Fanfani, La Pira e Dossetti – diceva che il compito della televisione è di mandare a letto la gente tranquilla. Vedo delle serie televisive scritte benissimo, con una regia pazzesca che però, dopo aver spento lo schermo, ti lasciano come un lieve malessere dentro. I mezzi più scorretti per tenere la gente attaccata allo schermo li conosciamo anche noi, ma cerchiamo di non utilizzarli perché bisogna far vedere che nella vita c’è il bene e c'è il male, ma anche una speranza alla fine. Se non facciamo vedere alla gente che c'è speranza, allora continuiamo a proporre dei modelli dove la vita non ha valore, dove ferire e uccidere è fatto con estrema leggerezza. Ho la sensazione che non ci si renda conto della potenza del mezzo che ci viene dato e quindi si banalizza un po’ tutto, come se non avessero importanza le azioni dei personaggi che noi costruiamo.
Lei e sua moglie Paola avete sei figli, fra gli 11 e i 27 anni. Come li avete educati anche nei confronti dei media?
Innanzitutto, cerchiamo di dare un esempio. Siamo fallibili, ovviamente, perché siamo due persone che hanno lavorato tanto nella vita, io produttore e mia moglie Paola professore ordinario all’Università di Tor Vergata. Con mia moglie cerchiamo di essere consapevoli: non lasciamo i ragazzi da soli davanti al computer o alla televisione senza sapere quello che guardano. I ragazzi vanno amati, occorre dargli la speranza. Nessuno gliela dà più, spesso vengono trattati come dei consumatori. Noi non abbiamo paura di dirgli tutto anche a costo di essere noiosi, di essere esigenti con loro. Però ci sono sempre una tavola, un pranzo o una cena insieme, in cui si stabiliscono alcuni momenti di ritrovo della famiglia. La famiglia è importantissima, cerchiamo di educarli a valori per noi importanti, anche alla fede, se possibile.
Con Fremantle che ha acquisito il 70% di Lux Vide, avete aumentato la potenza di fuoco internazionale. Quali sono i vostri prossimi progetti?
Quest'anno usciranno due grandi co-produzioni internazionali della Lux girate in lingua inglese. Una è "Sandokan" con Can Yaman, in cui siamo partiti da Salgari e abbiamo modernizzato la storia parlando dell'uomo che distrugge la natura e raccontando la prevaricazione dell'uomo sull'uomo nel colonialismo. L'altra è “Costiera”, un light crime divertente ambientato sulla Costiera amalfitana. Cerchiamo di fare delle serie che possono essere viste in tutto il mondo. In America, ad esempio, il remake di “DOC” sta avendo un grandissimo successo e vogliono farne uno anche di “Don Matteo”. Il legal è un genere che ci mancava e ci stiamo lavorando, sarà un prodotto molto forte che parla non solo di avvocati, ma anche di magistrati.
A che punto è il vostro progetto “The Rising” sulla vita di Gesù?
Stiamo lavorando da tempo su questa nuova serie su Gesù, un progetto molto bello e a cui tengo molto. Sarà un omaggio mio e di Matilde a nostro padre. Sarà un Gesù moderno che sta scrivendo proprio ora Francesco Arlanch, sceneggiatore anche di “DOC”. Avrà un punto di vista molto diverso perché i Vangeli fino adesso sono stati raccontati da chi stava intorno a Gesù: questa volta cercheremo di raccontarli, con tutta l'umiltà possibile, dal Suo punto di vista.
C’è quindi interesse del pubblico verso temi come la religione e la spiritualità?
Secondo un’indagine realizzata in America da “The Faith and Media Initiative” – organizzazione no-profit americana – su un campione di 10mila persone in 11 Paesi, i temi che sono più presenti nella televisione sono nell’ordine l’amicizia, il conflitto, il potere, la natura, la guerra. Dio e la religione stanno al tredicesimo posto e la spiritualità sta al quindicesimo. Invece riguardo ai temi più desiderati dalla gente, i primi sono l'amicizia, la natura, la famiglia, l’ecologia mentre la fede sale al sesto posto, la moralità al settimo, la tradizione all’ottavo e la spiritualità al decimo. C'è stato un periodo di ostracismo completo dell’industria sui temi della fede, mentre adesso ci arrivano sempre più frequentemente richieste di questi contenuti di ispirazione religiosa e spirituale, perché il pubblico vuole vedere storie che facciano stare bene. E la richiesta continuerà a crescere in questi tempi così complicati che stiamo attraversando, perché la fede è radicata profondamente nell'uomo.