Il gesuita francese Xavier Tilliette (1921-2018)
L’originalità forse maggiore del pensiero di padre Xavier Tilliette sta nell’aver elaborato e arricchito incessantemente, lungo la sua lunga attività di ricerca scientifica e di appassionante didattica, una “cristologia filosofica”. L’idea remota gli giunse allo scolasticato gesuita di Mongré a Villefranche-sur-Saône, suggeritagli poco prima di ammalarsi da un collega seminariale e amico, rapito nell’inverno 1946-47 da un’epidemia tifoidea. Per più di settant’anni Tilliette non ha fatto che approfondire tale ricerca, scrutando sia il Cristo sommo filosofo, come raffigurato nei primi secoli dalle comunità cristiane, sia l’idea del Cristo propria a una variegata cerchia di filosofi.
Nato il 23 luglio 1921 a Corbie, in Francia, nella Somme in Picardie, padre Tilliette si spento l’altro ieri a Parigi, all’età di 97 anni. Il suo cammini spirituale era cominciato nel 1938: noviziato nella Compagnia di Gesù presso Laval, nella Mayenne, e frequenta il collegio gesuita di Notre-Dame de Mongré. Dopo gli studi liceali, consegue la licenza in filosofia e teologia a Le Puy e Lyon-Fourvière, nel 1943 e nel 1946 anche la laurea in lettere classiche a Grenoble e la licenza in lingua tedesca a Lion, venendo ordinato sacerdote della Compagnia di Gesù nel 1951.
Insegna filosofia dapprima al Collège St-Louis de Gonzague di Parigi (19471949 e 1954-1957) e nella facoltà gesuita di Chantilly (1961-1966). Redattore della rivista “Études” dal 1958 al 1970, dal 1961 al 1971 è segretario degli “Archîves de Philosophie”. Nel 1969 consegue il dottorato in filosofia alla Sorbonne di Parigi, seguito da Jean Wahl e Vladimir Jankélévitch, con una tesi su Schelling premiata con medaglia dal C.N.R.S. ed edita in due ponderosi volumi nel 1970 presso Vrin: Schelling. Une philosophie en devenir. Il monumentale studio farà epoca, dando una svolta agli studi schellingiani e restando tuttora la chiave d’accesso imprescindibile al pensatore svevo.
Dal 1969 al 1987 Tilliette è docente di filosofia (poi professore emerito) all’Institut Catholique di Parigi e anche (dal 1972 al 2000) alla Pontificia università Gregoriana di Roma.
Malgrado l’ampia diffusione e traduzione dei suoi scritti, le schiere di allievi formati all’Institut Catholique e all’Università Gregoriana, i molti riconoscimenti internazionali, soprattutto nel più eccelso mondo accademico laico - dall’Académie française alla Bayerische Akademie der Wissenschaften, dall’Institut de France alla Presidenza della Repubblica italiana, dall’Università von Humboldt di Berlino all’Istituto italiano per gli Studi filosofici - la portata e il significato del pensiero di Tilliette non sono ancora stati compresi appieno.
La sua “cristologia filosofica” non è infatti semplicemente una teologia che abbia come proprio centro propulsore la cristologia. Sappiamo come le teologie novecentesche, in ciò già anticipate dalle grandi filosofie della religione e della rivelazione di Hegel e di Schelling ottocentesche, abbiano concentrato la propria attenzione sulla cristologia, a partire da Barth e von Balthasar, sino a Rahner, Pannenberg e oltre. In Tilliette - ispirato soprattutto da Schelling e da Blondel - opera invece, innanzitutto, una vera e propria filosofia, cioè una ricerca razionale di per sé priva di riferimento e soprattutto di fondamento teologico.
È questa filosofia nuda, priva di presupposti altri, che scopre e indaga il Cristo, per poi trarre dalla sua somma figura grandi significati per il proprio procedere razionale stesso, persino riconoscendo una vera e propria idea Christi caratterizzante il lógos umano.
Le conseguenze culturali epocali di tale posizione, tutt’oggi ancora disattese eppure sempre più necessarie per un eventuale autentico dialogo fra religioni e culture, sono che il Cristo diviene figura rilevante, a prescindere dal credo religioso, e la filosofia il metodo capace di porre in comunicazione culture, religioni e teologie differenti, a condizione che queste ne comprendano e accettino la criticità a essa propria.
Convinto che occorresse invertire la tendenza secolarizzante la teologia, ridottasi a filosofeggiare maldestramente senza riferimenti al Cristo, conducendo piuttosto sulla scia della filosofia la cristologia stessa, Tilliette in una miriade di opere, straordinarie per ricchezza e acribia, ha passato in rassegna non solo i filosofi che si siano occupati del Cristo, ma anche letterati e poeti, musicisti e pittori, artisti e pensatori in genere, in particolare nella grande stagione dell’idealismo tedesco e del romanticismo europeo, tuttavia anche sino all’esistenzialismo ottocentesco e novecentesco, i quali abbiano tratto ispirazione cristologica.
Perché non solo i discepoli diretti di Gesù, ma schiere di filosofi e pensatori sono stati inquietati dal suo interrogativo: «E voi chi dite che io sia?» (Matteo, 16, 15; Marco, 8, 29; Luca, 9, 20). Tilliette è consapevole che «la filosofia moderna, senza la visitazione del cristianesimo, si riduce a una logica superiore o, peggio, a un’ideologia». E se filosoficamente non è forse possibile avere una completa scienza del Cristo - ciò occorre riconoscerlo, criticamente -, tuttavia quanto meno se ne può avere una coscienza. Non è dunque necessaria una vera e propria “filosofia cristiana” per giungere a una “cristologia filosofica”, benché quella possa precisarsi in questa.
Anche nell’enciclica Fides et ratio (§ 76) - lettera papale alla cui redazione padre Tilliette stesso ha contribuito - compare l’espressione “filosofia cristiana”, benché non il sintagma “cristologia filosofica”. La cristologia filosofica di Tilliette è insomma terreno d’incontro - certo una via di grado superiore scandalizzante i riduttivismi scientifici e l’ignavia religiosa - fra fede e sapere, cristianesimo e filosofia, credenti e non-credenti, autentiche persone alla ricerca, umanamente, di un mistero sempre ancora più grande incarnato nella stessa storia degli uomini.