mercoledì 14 febbraio 2018
A mezzo secolo da quell'epocale giro di boa riemerge nitida la valutazione di Carlo Maria Martini: «La riscoperta della povertà, della politica e della coerenza per alimentare una Chiesa del popolo»
Una manifestazione all’Università Cattolica di Milano, il 26 marzo 1968

Una manifestazione all’Università Cattolica di Milano, il 26 marzo 1968

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Prima ancora di stabilire cosa resti del Sessantotto bisogna situarlo. Molto più di un semplice riferimento temporale, il Sessantotto non coincide soltanto con gli eventi che lo hanno caratterizzato o col clima che si è respirato, si profila piuttosto come un tempo praticato nelle piazze e nelle fabbriche, nelle aule universitarie e nelle assemblee, un tempo discusso e vissuto avendo in mano un libro o un quotidiano. Esiste un luogo privilegiato in cui collocare e comprendere al meglio ciò che tutte queste esperienze hanno rappresentato? Credo che questo luogo sia la formazione o ancora meglio la pluralità dei gesti e delle istituzioni dove in maniera ampia e condivisa vengono esperiti processi formativi.

Oggi, a distanza di cinquant’anni, è giusto dire che il sessantotto è prima di tutto degli studenti e che si è consumato principalmente nelle università se questa 'collocazione' spaziale e simbolica non comprime il dinamismo di quegli eventi nella sola istituzione accademica. Nell’alleanza inedita tra contestazione studentesca e protesta operaia s’intravede ancora oggi il desiderio di un’umanità indivisa, la postura di uomini e donne in cammino poiché persone in formazione qualunque sia il loro status anagrafico, sociale, economico o professionale. La formazione come retroterra vitale della partecipazione civile e politica, la formazione come nutrimento di consapevolezza negli affetti e nelle relazioni sociali: tutto questo non è eredità del Sessantotto, ma sporgenza e monito nell’universo simbolico di quegli anni, è un’intuizione lucida e collettiva che non ha smesso di lavorare, malgrado molti soggetti e poteri ne abbiano contrastato il passo.

Significativamente Carlo Maria Martini, riflettendo sui tratti culturali del sessantotto, non parlò di valori o principi, ma di pungoli. In questo modo l’esercizio della memoria si fa esperienza sensibile, se non addirittura sensoriale. La carne dei corpi individuali e collettivi continua a essere scossa e provocata da ciò che fuoriesce e scomoda. Il pungolo della povertà, della politica e della coerenza non hanno la compattezza dei sistemi valoriali, ma conservano la forza e il dinamismo delle provocazioni. Povertà, politica e coerenza sono richiami conficcati nei corpi sociali che fanno dello scarto e della sporgenza i luoghi di una stabilità inquieta e paradossale. Scrisse a tal proposito Martini: «In quegli anni la tensione alla povertà fu fortissima e diede luogo a nuove esperienze, a nuove comunità, a nuovi modi di vita; alcuni sono falliti, ma il pungolo era reale e sano». Poi il pungolo della politica: «Ricordo ancora quanto fosse sentita la percezione che, anche estraniandosi da ogni interesse politico, si operava una scelta politica. Un pungolo drammatico che costringeva tutti a una scelta. Ovviamente questa istanza veniva esasperata, faceva della politica l’unica cifra interpretativa. Però faceva uscire da una forma di cristianesimo privato». E infine il pungolo della coerenza col Vangelo « che andava al cuore della vita ecclesiale. Nei movimenti del Sessantotto si cercava molto la coerenza, la trasparenza, l’autenticità. Ci domandavamo: siamo coerenti col Vangelo? Lo rappresentiamo in maniera trasparente, autentica? E avvertivamo la nostra distanza e insieme il bisogno di capire che cosa significa interpretare il Vangelo nell’oggi».

Esattamente cinquant’anni fa l’urgenza di una formazione critica e partecipata si è mostrata capace di soprassalti e reazioni rispetto ai «discorsi a verità garantita», espressione cara a Michel de Certeau. Il desiderio e la passione per l’umanità in formazione è oggi particolarmente vivo in molte e discrete iniziative sociali. L’attuale stagione ecclesiale non può dirsi estranea al triplice pungolo di una Chiesa «in stato di uscita» poiché «in stato di formazione »: ancora oggi la tensione alla povertà è in grado di infondere sensibilità e finezza nella riscoperta della dimensione popolare della fede, nella vicinanza ai movimenti del popolo e dei popoli. Il pungolo della politica, se opportunamente riconosciuto e promosso, può condurre a un’autentica svolta ecologica, può avviare processi di conversione alla socialità e alla cooperazione, nella liberante rinuncia a forme di appropriazione illimitata. La coerenza col Vangelo porta la veste dell’umiltà, anche quest’ultima è pungolo e non soltanto principio, monito di rinuncia a qualsiasi privilegio, orientamento di una Chiesa finalmente affrancata dall’ossessione di «preservare la propria gloria, la propria ' dignità', la propria influenza», parole consegnate da Francesco alla Chiesa italiana.

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