Per papa Pio XII solo la democrazia poteva garantire la pace e la libertà
Alla vigilia dell’elezione del 18 aprile 1948, giungono forti pressioni su Pio XII dalla Spagna e da settori diplomatici vaticani: il caudillo Franco e i suoi considerano pericoloso tenere le elezioni. Si rischia una vittoria comunista e la libertà del Papa, che forse - secondo Franco - andrebbe difesa con una forza militare mista, cui la Spagna parteciperebbe. Il nunzio a Madrid, Gaetano Cicognani, fratello del delegato a Washington, Amleto, futuro Segretario di Stato di Giovanni XXIII, è quasi in sintonia. Il rappresentante del presidente americano, Myron Taylor, riporta queste paure a Pio XII, che risponde netto: «Prendere ora una tale iniziativa incoraggerebbe una rivoluzione e sarebbe inconcepibile, tenuti presenti i metodi democratici».
La Chiesa ha scelto i metodi democratici. Ma la scelta è recente e non del tutto condivisa. Basta scorrere le pagine coeve de “La Civiltà Cattolica” per trovare scetticismo verso la democrazia, esaltazione della Spagna come Stato cattolico, tanto da prospettare per l’Italia uno Stato forte, in cui lo spazio comunista sia ridotto o annullato. Eppure Pio XII non deflette dalla scelta democratica, nonostante la sua profonda paura di un’affermazione comunista, durata sino alla sua morte. Nel sentire della Chiesa, però, circolava ampiamente la nostalgia dello Stato autoritario cattolico, di una “catto-democratura”. Pio XII aveva consacrato una posizione chiara con il Radiomessaggio per il Natale 1944, in cui opera una svolta netta comunicata al popolo cattolico nel mondo, ancora sotto diversi regimi: nazista e fascista ancora in vita, sovietico, dittatoriale come in Spagna o Portogallo, democratico, ma anche coloniale. A ben vedere, la scelta democratica - alla fine - avrebbe significato il crollo del colonialismo. Che era poi la visione degli americani.
Non che i cattolici democratici non fossero presenti nel Novecento, come i popolari italiani o il Zentrum tedesco, tuttavia la scelta centrale di Pio XI non era democratica, ma per la cattolicizzazione del fascismo (fallendo) o per regimi come l’Ungheria di Horthy e via dicendo. Molto nel 1944 cambiava. Durante il conflitto, Pio XII mantenne un’attenta imparzialità tra il blocco delle dittature e quello delle democrazie (cui si aggiungeva l’Unione Sovietica, verso cui c’è attenuazione della critica vaticana). Specie sulla Shoah, ma non solo, c’era stato un prezzo per l’atteggiamento del papa, non solo politico, ma anche personale e spirituale.
In una conversazione con il cardinale Tisserant, che aveva una visione alternativa a Pio XII (secondo cui bisognava sciogliere i cittadini dall’obbedienza allo Stato e affermare la coscienza di fronte a una guerra del tutto nuova), il Papa si lasciò andare dicendo: «Lei sa da che parte va la mia simpatia. Ma non posso esprimerlo» . Era una chiara e privata dichiarazione di simpatia per le democrazie o di avversione alle dittature, che credo sincera. Tisserant così giudicava il papa: «È molto buono, ma debole, debole, dicendo “sì” a tutti, non osando niente contro i forti, troppo diplomatico, cedevole su tutto e di un’estrema suscettibilità».
Eugenio Pacelli era stato nunzio in Baviera e Germania, e la vita democratica tedesca lo aveva anche appassionato . Aveva seguito la politica americana e, nel viaggio del 1936, aveva voluto incontrare il neoeletto presidente Roosevelt, nonostante le perplessità del delegato Cicognani: da questo incontro era nato un importante rapporto - tanto che si parla di “spirito di Hyde Park” -, espresso durante la guerra e il dopoguerra da Myron Taylor. Pio XII lo riceveva a lungo e più volte durante le sue missioni romane, perché era la vera risorsa diplomatica di un Vaticano isolato. Il papa aveva constatato gli enormi disastri provocati dalle dittature e il legame intrinseco con lo spirito di guerra.
I radiomessaggi natalizi vengono da un papa isolato negli anni della guerra. Prima dall’ingresso dell’Italia in guerra, poi dall’occupazione nazista di Roma sino al giugno 1944. Dalla liberazione di Roma, Pio XII, pur cauto a causa dei cattolici nell’Europa occupata dai nazisti, si ricongiunge ad un’opinione pubblica libera. Finché, con il discorso del 2 giugno 1945, dopo il suicidio di Hitler, giudicato dagli americani tardivo, denuncia l’inumanità del nazismo e presenta la Chiesa come una delle sue principali vittime.
Molta attenzione è stata assorbita dal radiomessaggio del 1942 a causa delle parole sullo sterminio degli ebrei: «Centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o a un progressivo deperimento». Pio XII era convinto di aver parlato chiaro; gli americani erano perplessi, ma il Papa rispondeva che, se fosse stato circostanziato, avrebbe dovuto condannare pure l’URSS. Nel 1942 lanciò una “crociata”: «Ai migliori, ai più eletti membri della cristianità spetta riunirsi nello spirito di verità, di giustizia e di amore al grido: Dio lo vuole!». Da Milano, Agostino Gemelli prendeva l’appello come invito a mobilitarsi, ma Pio XII smorzò i toni. Il contatto diretto tra Papa e popolo era ripreso, alla luce dell’invito ai cattolici a prendere l’iniziativa.
Il radiomessaggio del 1944, a pochi mesi dalla fine della guerra, è un testo storico per Sturzo, che ne scrive a Giordani dagli Stati Uniti (da dove Montini e De Gasperi non l’hanno fatto partire per timore del suo favore per la repubblica) . La democrazia non è tollerata, come con la Chiesa di Leone XIII, indifferente alle varie forme di governo (così fino a Pio XI nel 1933 con Dilectissime nos). No, per la Chiesa, la democrazia – dice lo storico Malgeri – è la migliore tutela della dignità umana e il migliore sistema politico.
Il papa parla alla «straziante angoscia degli individui e dei paesi oppressi». Se il mondo fosse stato più democratico, non ci sarebbe forse stata la guerra.
Quindi non c’è da meravigliarsi se si diffonda “la tendenza democratica”: democrazia e pace sono in contrasto con guerra e dittatura. A partire da questo, il papa guarda al futuro, alla democrazia. Per il cauto Pacelli, è una decisione forte.
La decisione in favore della democrazia ha l’evidente scopo di fondarla nei paesi che non l’hanno, come l’Italia, e di impegnare i cattolici in quest’opera. Ma anche di sfidare i paesi sottomessi al controllo sovietico (che il Papa paventa). Nell’ottobre 1944 era avvenuta la quarta conferenza di Mosca, tra Churchill e Stalin, finita con il cosiddetto accordo delle percentuali, che assegnava tanto all’URSS in Romania e Bulgaria, la metà in Ungheria e Jugoslavia, mentre riconosceva in Polonia il governo di Lublino. Proporre la democrazia e affermare il valore del cittadino era una mossa importante, che difendeva le minoranze e poteva contrastare i colpi di mano. Soprattutto si trattava di dare un ideale ricostruttivo ai cattolici perché si mobilitassero in politica, alleando Chiesa, pace e libertà.
Così si spiega perché, mentre ancora si combatte, parlando ai suoi popoli divisi proprio per Natale, il papa abbia voluto manifestare l’alleanza nuova tra Chiesa e democrazia, rinnovando quella antica con la pace, dando ai cattolici una speranza su cui lavorare, la democrazia, e spendendosi per un mondo che divenga società delle democrazie. Mi sono solo chiesto, se non restassero stupiti i buoni cattolici del mondo che si fossero sintonizzati sul radiomessaggio e comprendessero l’italiano, di non sentire una meditazione sul Natale, ma un programma umanistico-politico per il futuro del mondo. Ma forse rassicurava e trasmetteva speranza che il papa ancora parlasse, e parlasse con autorità, a un mondo smarrito.