La coordinatrice della Direzione distrettuale antimafia di Milano Alessandra Dolci - ANSA
«Senza spari. Hai visto com’è cambiato tutto?». È una frase intercettata in una recente inchiesta sulle organizzazioni mafiose in Lombardia, dove la criminalità organizzata nell’ultimo ventennio ha replicato il modo di agire di quella economica, come spiega Alessandra Dolci, coordinatrice della direzione distrettuale antimafia di Milano: «Intestazioni fittizie e fatture fittizie sono i reati che riscontriamo con più frequenza nelle indagini e che hanno preso il posto delle estorsioni. A riprova di ciò l’associazione a delinquere di stampo mafioso ha sempre più spesso contestati come reati fine fatti di bancarotta, frode fiscale, truffa ai danni dello stato».
Questi strumenti della criminalità economica che le mafie padroneggiano sono funzionali a un nuovo tipo di occupazione del territorio?
La criminalità organizzata è riuscita a inserirsi nel modello quanto mai attuale di scomposizione del processo produttivo: l’esternalizzazione di fasi accessorie della produzione, alla quale le imprese ricorrono per risparmiare sui costi del lavoro, acquisire maggiore flessibilità organizzativa ed anche in concreto beneficiare di un minor rischio d’impresa. È un modello tripartito che vede la presenza di un’impresa committente di dimensioni medio grandi, una società filtro, di solito una società consortile che acquisisce il contratto di appalto e, alla base, una serie di cooperative di produzione e lavoro che sono meri contenitori di manodopera, restano in vita non più di due-tre anni e, soprattutto, sono evasori totali. Oltre ai contenitori di manovalanza, le organizzazioni criminali si sono specializzate nel creare reticoli societari la cui unica funzione è quella di emettere fatture per operazioni inesistenti, ovvero cedere fittizi crediti d’imposta.
Bare fiscali, serbatoi di manovalanza, società schermo: così sono entrati senza spari?
Banalmente: hai bisogno di una società che fa le fatture fittizie, che ti risolve i problemi con i fornitori, che ti risolve ogni tipo di problema in generale? Ci siamo noi. Tu mi paghi, io ti garantisco la protezione, ma ti faccio la fattura. Attraverso questa fiscalizzazione dell’imposizione cambia il rapporto tra vittima ed estorsore: aumentano le connivenze, si rinsaldano le complicità e si espandono le zone grigie. Per l’imprenditore-vittima denunziare può significare dover palesare la propria inosservanza degli standard elementari di correttezza fiscale. La cosiddetta vis mafiosa è meno percepibile, ma pur sempre immanente, pronta ad emergere nel momento in cui si verifichi una qualche criticità nel rapporto. Molti dei nostri operatori economici sono convinti di poter gestire un rapporto alla pari, ma non è così e non sarà mai così. Ma soprattutto - e secondo me questo è il vero tema - la criminalità mafiosa nella sua declinazione economica oggi è considerata un male sostenibile. È mai possibile una cosa del genere?
Sta parlando di accettazione sociale?
Certo, il disvalore che accompagna condotte che violano la normativa fiscale e/o societaria è minimo, si cementa un comune sentire tra operatori economici, mafiosi e professionisti al loro servizio, fatto di insofferenza alle regole (da quelle fiscali a quelle che regolano il libero mercato). Questo porta lo stesso mafioso ad emendarsi, ad autoassolversi e significative sono giustificazioni del tipo: «Sì ho evaso il fisco, ho emesso fatture fittizie…e allora, chi non lo fa?»
Esistono in Lombardia zone in cui, se un imprenditore vuol entrare in un certo settore, sa che i nomi di riferimento sono quelli?
Altroché se ce ne sono: il Sud Ovest di Milano, il Varesotto, il Comasco. Anche un lombardo conosce, se non l’organigramma delle ‘ndrine, il peso di certi nomi. Nei settori del movimento terra e della logistica gli operatori economici sanno che per dar corso ad un appalto devono fare i conti con gli esponenti delle “famiglie”, spesso creano, come si diceva prima, relazioni pattizie dettate dal timore, dalla logica della convenienza, o anche solo per accidia, o per un insieme di questi fattori. Ma il timore più grande è che considerino la criminalità mafiosa un male “sostenibile”.
Come sono cambiate le indagini?
Sono cambiati i reati spia, gli atti di intimidazione erano moltissimi a cavallo del 2010, ora sono in numero decisamente ridotto. Ora i reati spia sono in gran parte quelli a connotazione economica (liquidazioni giudiziali, frodi fiscali, truffe). Come spesso sottolineiamo la presenza mafiosa in determinati contesti economici va ricercata nell’insolvenza.
Come sono cambiate le ‘ndrine?
Sono quasi sparite le manifestazioni più classiche dell’essere mafioso, quali le mangiate, i rituali di affiliazione, il conferimento delle doti. Come si è già sottolineato, il ricorso alla violenza è divenuto residuale, ma, attenzione, ciò non significa che nella ‘ndrangheta sia in atto una mutazione genetica che la riconduca ad un fenomeno di devianza economica. Resta immutata la struttura, con il collegamento tra le locali lombarde e la Calabria. Tutte le decisioni che contano - ripartizione degli affari, risoluzione dei conflitti - si prendono in Calabria, nella casa madre. E le locali calabresi di riferimento, le principali, sono sempre quelle: Platì, San Luca, Africo (la “Montagna”), Rosarno, Gioia Tauro (la Piana). Soprattutto, resta immutata la riserva di violenza, sempre pronta a riemergere anche se, qui citando un mio vecchio indagato, «solo quando è necessario».
«Ci siamo fatti autorizzare tutto da Milano...passando dalla Calabria, da Napoli!». «In Lombardia non esiste che viene lo zio, il fratello e il cugino a caso...» Altre due frasi estrapolate dalla recente indagine Hydra, in cui si è registrato un fenomeno nuovo: un consorzio tra cosa nostra, camorra e ‘ndrangheta per mettere in comune mezzi, uomini e risorse.
Ciò a riprova del fatto che la Lombardia, connotata da un tessuto economico particolarmente ricco e sviluppato, è una regione di interesse primario per le mafie. Milano «è più gestibile», dicono, rispetto ad altre grandi città. Qui «c’è da mangiare per tutti, è controproducente farsi la guerra». Il collante che lega soggetti calabresi, siciliani e campani è quello economico, i profitti vengono ripartiti e in parte utilizzati per il sostentamento delle famiglie dei detenuti.
«La tua infamità non appartiene alla nostra mentalità». Lo striscione esposto a San Siro dopo la decisione di Andrea Beretta di collaborare in seguito all’omicidio dell’esponente delle ‘ndrine Antonio Bellocco sembra scritto dalla mafia.
Gli ultras mutuano modelli comportamentali mafiosi, ma non lo sono. Quello che si può dire circa il rapporto tra mafia e sport è che gli interessi economici, soprattutto intorno al mondo del calcio, sono molteplici (si pensi al merchandising, ai parcheggi, al catering interno alo stadio, agli autofurgoni all’esterno e poi - più strettamente legati alle partite - alla vendita dei biglietti, parte dei quali viene ceduta gratuitamente dalle società di calcio, e all’organizzazione delle trasferte). A ciò si aggiunga che l’estrazione, in buona parte criminale, dei rappresentanti dei gruppi organizzati è l’humus ideale per consentire l’infiltrazione della criminalità organizzata di tipo mafioso.
Criminalità mafiosa e ultras, chi serve chi?
Non c’è partita.
Quando Bellocco è arrivato a Milano dopo l’omicidio di Vittorio Boiocchi si è preso la curva dell’Inter in quanto tempo?
Qualche settimana, forse meno. Sempre perché tutti, in quell’ambito, sapevano chi era Bellocco, chi è la sua famiglia. La “cattiva fama” è estremamente efficace anche nel “mondo stadio”.