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Mercoledì 16 febbraio, dalle 17 alle 19.30, la Pontificia Università della Santa Croce (Roma) ospiterà la Tavola rotonda “Scuola, società e nuove generazioni. Il contributo culturale del Progetto DISF Educational”, diretto da Giuseppe Tanzella-Nitti, del quale anticipiamo una presentazione del progetto. Interverranno all’incontro Luigino Bruni (Lumsa) e Andrea Monda (Osservatore Romano) moderati dalla giornalista scientifica Letizia Davoli (TV 2000). Tra le presenze istituzionali, il segretario generale della Cei Stefano Russo e la sottosegretaria al ministero dell’Istruzione Barbara Floridia. L’evento sarà trasmesso anche in streaming: per informazioni edu@disf.org. DISF-Educational è una piattaforma web progettata in collaborazione con l’Ufficio nazionale per la Scuola, l’educazione e l’università della Cei, con il contributo di oltre trenta docenti italiani. Offre materiale didattico e di documentazione per orientare il rapporto fra pensiero scientifico, filosofia e religione cattolica nell’insegnamento scolastico. È costituita da oltre un migliaio di pagine e quattro grandi sezioni, che comprendono Percorsi Tematici, Grandi Domande, rubriche per Cercatori di Senso e una Videoteca. Gratuita e senza pubblicità, la piattaforma propone inoltre tracce di lavoro, orientamento bibliografico, approfondimenti storico-filosofici e una bacheca per i docenti.
È sotto gli occhi di tutti, è il caso di dirlo, come il modo di comunicare sia cambiato nel corso degli ultimi decenni. Il linguaggio digitale, le immagini, i brevi clip video e i documenti condivisi nei social network rappresentano oggi il modo normale con cui veniamo informati e informiamo, ma anche il modo, per molti, con cui apprendiamo e perfino studiamo. Dopo il computer, ormai anche i tablet e gli smartphone convivono con i libri e, in alcuni casi, li hanno sostituiti. Dirigendo da 20 anni un sito web di documentazione e di aggiornamento culturale (disf.org) ho potuto vedere come l’uso degli smartphone, entrato timidamente nelle statistiche una quindicina di anni fa, abbia ormai superato le utenze da desktop e come tutti i software si siano accomodati per rendere le pagine più adatte alla visione sul telefonino tenuto fra le mani piuttosto che sul computer sistemato sulla scrivania. Dell’importanza dei nuovi media e delle “nuove tecnologie” (la dizione è entrata ormai anche nelle benedizioni papali urbi et orbi) siamo tutti convinti e, direi, anche soddisfatti. Abbiamo la possibilità di raggiungere molte più persone, includere chi avrebbe meno opportunità, intessere nuove relazioni. Non vi sono dubbi che, rettamente impiegate, le nuove tecnologie, possono contribuire in modo determinante a fare del genere umano un’unica famiglia, secondo criteri di gratuità e inclusività. Tutto ciò non vuol dire, però, che dalla cultura digitale non emergano anche dilemmi e contraccolpi. Ciascuno di noi ne potrebbe elencare vari, per esperienza personale. Fra questi, occupa un posto particolare il dilemma sul loro impiego in ambito educativo e formativo, a tutti li livelli, dalla scuola elementare fino all’università. È possibile “educare alla profondità” usando un touch screen, formare allo “spirito critico” operando dei semplici click? Il lavoro intellettuale richiede raccoglimento, riflessione, tempo e sedimentazione delle idee, si giova di contatti umani (non virtuali), della trasmissione e della condivisione di esperienza, tutte cose che, a prima vista, non sembrano raggiungibili in un ambiente digitale, con un semplice gioco di dita. Diventa facile, allora, cadere in un’opposizione dialettica, esaltando i poli del contrasto, spesso proposti come confronto radicale fra progressisti e conservatori. Contrapposizione ante litteram, se pensiamo che Giulio Cesare raccontava nel De bello gallico che i Druidi non si fidavano della scrittura perché ritenevano indebolisse la memoria dei giovani! Quando parliamo poi di didattica a distanza o in presenza, di apprendimento scolastico, di quaderni o di computer, il dilemma assume toni decisi e le posizioni si irrigidiscono. La strada, a questo punto, può essere duplice: alimentare la tensione fra novità digitali e mezzi tradizionali, con il rischio di bloccarsi, oppure cercare strategie e soluzioni che facciano progredire. L’esperienza svolta negli ultimi due anni dal sottoscritto e dai suoi collaboratori nella preparazione della piattaforma didattica DISF Educational (disf.org/edu), progetto sostenuto dalla Conferenza Episcopale Italiana, è stato proprio un tentativo di cercare strategie e soluzioni. L’obiettivo era capire come attrarre i giovani delle scuole superiori alle grandi domande filosofiche, ai grandi temi interdisciplinari, alle questioni storico-filosofiche che interessano trasversalmente i programmi scolastici ma richiedono approfondimenti che vanno ben oltre il libro di scuola. Può un ragazzo di 16 o 17 anni interessarsi al ruolo svolto dal cristianesimo nello sviluppo del pensiero occidentale, o alle dimensioni personaliste della ricerca scientifica, o al rapporto fra scienze, filosofia e teologia al momento di affrontare le grandi domande sulle “origini”? In primo luogo occorre “catturare” l’attenzione dei giovani con una grafica attraente, loro familiare, che parli il linguaggio estetico delle immagini, evocative e non improvvisate. In secondo luogo occorre “intercettare” le domande giuste, quelle che i giovani si fanno davvero, non quelle che gli educatori ritengono essi si pongano. Qui arrivano le prime sorprese, perché i giovani sono assai più attratti dalle grandi domande di quanto spesso si pensi. Occorre poi una buona dose di coraggio e offrire loro delle risposte chiare, che poggino su un fondamento, non lasciandole per aria. La maggior parte degli oltre trenta docenti che hanno collaborato alla preparazione di DISF Educational convergevano sul fatto che si possono offrire risposte chiare senza essere ideologici, si può parlare di verità e di errore senza ferire nessuno. Le grandi domande devono poi avere la capacità di aprirsi progressivamente a livelli sempre più profondi e riguardare piani progressivamente più specialistici. Se la grafica e il linguaggio mediatico hanno il compito di intercettare l’interesse, i progressivi e graduali livelli di profondità hanno invece lo scopo di guidare per mano verso risposte non banali, che sanno specificare, aprire orizzonti, far intuire la complessità, ma anche la bellezza dei temi. In terzo luogo sappiamo come sia oggi vincente e avvincente lo storytelling, imparare dalla storia e dalle storie, far parlare i testimoni, cose che i nuovi media ci consentono di fare assai meglio che in passato. Così come ci consentono di accedere a grandi basi di dati, di entrare in contatto con le fonti, di far parlare direttamente gli autori senza mediazioni ideologiche o commerciali. Ma è necessario – e questo è punto della massima importanza – proporre il linguaggio e i contenuti dei nuovi media senza sostituire il rapporto fra docente e alunno, senza saltarlo, fungendo piuttosto come aiuto, servizio, strumento. La didattica, come ogni rapporto pedagogico, è una relazione fra persone; persone che sono però chiamate a dotarsi degli strumenti giusti. I giovani, come tutti, aspirano al gusto del sapere e desiderano la sicurezza del fondamento. Per potere decidere, liberi, senza manipolazioni.