Nei primi anni Quaranta Henri Matisse fu colpito da una malattia che gli ridusse di molto le forze fisiche. L’immagine dell’artista sulla sedia a rotelle è negli occhi di tutti. Ma pure in quelle circostanze la creatività e la proverbiale determinazione non vennero meno, lo spinsero anzi a esplorare nuove possibilità, ed eccolo negli ultimi diciassette anni a comporre i suoi
découpages. Con l’aiuto degli assistenti dipingeva a tempera fogli di carta alla ricerca dei colori precisi. Da questi poi con le forbici estraeva le forme. A dire il vero Matisse non era nuovo in questo esercizio. Da qualche tempo prima ritagliava i disegni dei singoli elementi (una brocca, una tazza, un fiore ecc.) e li posizionava su uno sfondo con le puntine, alla ricerca della composizione ideale. Ma da lì veniva fuori un dipinto unificato da quel suo modo piatto di stendere il colore, dall’armonia cromatica e dallo sfondo colorato che tiene insieme le figure. I
découpages sono qualcosa di molto diverso, e lo stesso Matisse avvertiva gli spettatori che le forbici con posano il colore ma incidono la materia e che perciò occorreva avvicinare queste opere con criteri nuovi. Aveva aperto un filone inedito dell’arte visiva, un medium nuovo con regole proprie.La mostra in corso alla Tate Modern di Londra è la più ampia ed esaustiva mai esibita su questo periodo matissiano. Si rimane sbigottiti nel passare di sala in sala comprendendo l’evoluzione di quel nuovo
moduse i suoi successivi perché. Per esempio, la nota cartella
Jazz (1943-47), forse il più importante libro d’artista del secolo, è esposta in tutte le sue pagine, e corredata degli originali delle tavole, le
maquettes, realizzate con ritagli di carta incollata. Guardiamo anche, finalmente insieme, le grandi composizioni marine chiamate
Oceania e ci confortano le foto dell’appartamento di Matisse in Boulevard Montparnasse dove queste ricoprivano le pareti creando una «stanza subacquea». In effetti, più s’identificava con la nuova tecnica, più gli mancavano le forze, e più propendeva verso formati molto vasti. Questi erano pensati come decorazioni parietali di interi ambienti. Li aveva installati nel suo studio di Vence per controllarne l’effetto reale. Con colori vibranti e calibratissimi si sviluppa intorno a noi un mondo di forme sinuose che ricordano le alghe mosse dal mare.Allo sguardo profano possono sembrare forme capricciose e infantili. Nulla di più sbagliato. Sono frutto di dura fatica, del fare e rifare fino a trovare la forma giusta. È esposta, per esempio, l’intera serie dei
Nudi blu (1952), sagome del corpo femminile che sembrano disarticolare e "venute male", mentre invece hanno comportato tanto studio, tanto disegno, tanta sperimentazione. Il bianco dello sfondo è considerato da Matisse un colore in più della composizione e non una base neutra.All’epoca dei
découpages appartengono i lavori per la cappella domenicana di Vence dedicata alla Madonna del Rosario. Una religiosa, suor Jacques, aveva curato il malato Matisse anni prima e gli aveva chiesto consiglio per una vetrata. Ma l’artista finì presto per entusiasmarsi alla realizzazione dell’intera chiesa intorno al 1950, dalle vetrate ai paramenti. La mostra documenta nei particolari tutto il lavoro. I ritagli in questo caso non erano il prodotto finale ma dovevano essere poi tradotti in vetro, stoffe ecc. Henri diede fondo alle sue energie, si fece attaccare le carte in studio e perfino nella camera da letto per continuare a riflettere e correggere su una dimensione reale. Seduto o precariamente in piedi, matite e pennelli legati a una canna, studiava a parete i disegni delle immagini.A proposito di Vence ci si è sempre interrogati sulla fede di Matisse. Proprio nella cartella
Jazz si legge questa confessione: «Se credo in Dio? Sì, quando lavoro. Quando sono sommesso e modesto, mi sento limitato da qualcuno che mi fa fare delle cose che mi sovrastano. Non sento verso di lui alcuna riconoscenza perché è come se mi trovassi davanti a un prestigiatore di cui non posso percepire i trucchi. Allora mi sento frustrato dal beneficio dell’esperienza che doveva essere la ricompensa ai miei sforzi. Sono ingrato senza rimedio». Henri Matisse morì nel 1954 all’età di 85 anni. Fu attivo fino all’ultimo.