Gerrit van Honthorst, “Re Davide suona l’arpa”, 1622. Utrecht, Centraal Museum
Ci sono, nella Commedia, personaggi che, a lungo annunciati, infine appaiono nel giubilo ammirato degli astanti come Beatrice; altri, pur attesi, dei quali si attenua il ruolo, come Lucia che, autorevolmente evocata all’inizio del poema: «Questa [la Vergine] chiese Lucia in suo dimando / e disse: 'Or ha bisogno il tuo fedele / di te, e io a te lo raccomando' / Lucia, nimica di ciascun crudele, / si mosse, e venne al loco dov’i’ [Beatrice] era, / che mi sedea con l’antica Rachele » (Inf., II, 97-102), non ha luce poi che nel discorso riportato di Virgilio: operando repentina, nel sonno di Dante, sì da elevarlo alla soglia della parete ove s’apre la porta del Purgatorio: «Venne una donna e disse: 'I’ son Lucia; / lasciatemi pigliar costui che dorme; / sì l’agevolerò per la sua via' / […] / ella ti tolse, e come ’l dì fu chiaro, / sen venne suso; e io per le sue orme. / Qui ti posò, ma pria mi dimostraro / li occhi suoi belli quella intrata aperta; / poi ella e ’l sonno ad una se n’andaro» (Purg., IX, 55-63). Di altri ancora non appare che l’icona, figurata per exempla, evocata per inni e cantici, implorata per suppliche come, dall’inizio alla fine del poema, la Vergine: ella è la «donna del ciel» che soccorre allo smarrimento di Dante: «Donna è gentil nel ciel che si compiange / di questo ’mpedimento ov’io ti mando» (Inf., II, 94-95), invia le successive guide, da Vergilio a Beatrice; appare poi figurata negli exempla delle cornici del Purgatorio, come nelle splendide terzine che descrivono gli 'intagli' dell’Annunciazione (Purg., X,34-45), e continuamente invocata: nel Salve Regina (Purg., VII, 82), nell’Ave Maria (Par., III, 121-122), nel Regina celi (Par., XXIII, 128), nella «divina cantilena» dell’arcangelo Gabriele adorante: «Cantando 'Ave, Maria gratia plena', / dinanzi a lei le sue ali distese » (Par., XXXII, 106-107), sino alla finale e solenne preghiera di san Bernardo: «Vergine Madre, figlia del tuo figlio» che inaugura l’ultimo canto del poema. Così lungamente adombrata, della Vergine tuttavia non appare che lo sguardo silente e benevolo: «Li occhi da Dio diletti e venerati, / fissi ne l’orator, ne dimostraro / quanto i devoti prieghi le son grati» (Par., XXXIII, 40-42).
Non dissimile, evocata più che presente, altissima infine nella luce dell’aquila, è la figura di Davide, poeta, profeta, condottiero del popolo d’Israele, modello certo di quanto Dante chiede e s’attende dall’arte del comporre versi e da se stesso. È dapprima nominato nel Limbo, con i patriarchi che Cristo trasse dal Limbo: «Trasseci l’ombra del primo parente, / d’Abèl suo figlio e quella di Noè, / di Moïsè legista e ubidente; / Abraàm patrïarca e Davìd re, / Israèl con lo padre e co’ suoi nati» (Inf., IV, 55-59); ancora è citato in Inf., XXVIII, 137-138; ma soprattutto è «intagliato lì nel marmo stesso» tra gli exempla scolpiti (subito dopo quello dell’Annunciazione): «Lì precedeva al benedetto vaso / trescando alzato, l’umile salmista, / e più e men che re era in quel caso» (Purg., X, 64-66). Davide canta e danza dinanzi all’arca dell’Alleanza: i versi di Dante riassumo il versi del II libro di Samuele: «Davide radunò di nuovo tutti gli uomini migliori d’Israele, in numero di trentamila. Poi si alzò e partì con tutta la sua gente da Baalà di Giuda, per trasportare di là l’arca di Dio, sulla quale è invocato il nome, il nome del Signore degli eserciti, che siede in essa sui cherubini. […] Davide e tutta la casa d’Israele facevano festa davanti al Signore con tutte le forze, con canti e con cetre, arpe, timpani, sistri e cembali» (6, 1-5).
Quando Dante potrà infine contemplare nel Paradiso Davide, questi gli appare come la «pupilla» sfolgorante dell’aquila regale nella quale si sono riuniti, a formarne la figura, tutti i bati, come canta l’incipit del canto XIX: «Parea dinanzi a me con l’ali aperte / la bella image che nel dolce frui / liete facean l’anime conserte» (Par., XIX, 1-3). Di quell’aquila (che è anche simbolo imperiale) Davide è la pupilla e, aggiunge Dante, «ora conosce il merto del suo canto» (v. 40). Traspare la quasi sovrapposizione autobiografica tra quel mito di condottiero, amante, profeta e poeta e la figura di Dante, anch’egli dovendosi «traslatare di villa in villa», esule, umile eppur segnato dalla stessa predestinazione: «'L’ho fatto dinanzi al Signore, che mi ha scelto […] per stabilirmi capo sul popolo del Signore, su Israele; ho fatto festa davanti al Signore'» (II Sam., 6, 21).
Jorge Luis Borges ha scritto un vertiginoso saggio su Il Simurg e l’Aquila nei suoi Nove saggi danteschi (1982), paragonando con sottile acume quanto sian prossime la somiglianza per contiguità (i beati nell’aquila) e l’identificazione (degli uccelli nel Simurg); Dante personaggio deve aver subito quella fascinazione davidica; o forse, anche più borgesianamente che Borges, in quella pupilla deve aver contemplato la pupilla che Davide cantava e ch’egli in sé sussurrava: «Custodiscimi come pupilla degli occhi, / proteggimi all’ombra delle tue ali, / di fronte agli empi che mi opprimono, / ai nemici che mi accerchiano » (Salmo 17, 8-9). O, semplicemente abbacinato da quei fulgori «onde l’occhio in testa mi scintilla » (XX, 35) profondava in quella luce di gloria «come letizia per pupilla viva» (II, 144).
Infine, e soprattutto, Davide ancora una volta torna, quando Dante sarà esaminato da san Giacomo sulla Speranza (canto XXV), e fornirà le ragioni di quel suo «attender certo », riconducendole alle Scritture e soprattutto ai salmi di Davide, che sono la prima memoria del proprio credere: «Da molte stelle mi vien questa luce; / ma quei la distillò nel mio cor pria / che fu sommo cantor del sommo duce» (XXV, 70-72). E non meno la fede aveva avuto, per Dante, radice nei Salmi: «Anche la verità che quinci piove / per Moïsè, per profeti e per salmi, / per l’Evangelio e per voi che scriveste / poi che l’ardente Spirto vi fé almi» (Par., XXIV, 135-138).
Sommo cantor del sommo duce: a nessun altro poeta è nella Commedia riservato quel titolo, a nessun altro biblico profeta o condottiero; e quando Davide apparirà un’ultima volta, nei più alti seggi del divino anfiteatro, sarà evocato come discendente di Ruth, entro un 'ritratto di famiglia', quasi, che inizia con Beatrice e termina con il davidico Miserere: «Ne l’ordine che fanno i terzi sedi, / siede Rachel di sotto da costei / con Bëatrice, sì come tu vedi. // Sarra e Rebecca, Iudìt e colei / che fu bisava al cantor che per doglia / del fallo disse ’Miserere mei’» (Par., XXXII, 7-12). La Commedia, divina 'salmodia' del cantor dei Novissimi.