Cesare Cavalleri e Dino Buzzati
Cominciò a graffiare, con l’eleganza che gli era propria e il solito garbo, quando aveva solo 21 anni. Il primo “bersaglio” di Cesare Cavalleri, allora impiegato di banca nonché studente ai corsi serali di Economia e commercio dell’Università Cattolica di Milano, ma già profondo conoscitore della letteratura, fu nientemeno che Dino Buzzati. Con lo scrittore e giornalista bellunese ebbe infatti un singolare e “stretto” scambio epistolare, finora inedito, iniziato il 2 febbraio e terminato il 26 marzo del 1958. È stato Alessandro Rivali, suo allievo e successore alla guida della casa editrice Ares, a scoprire le lettere tra le migliaia di carte dell’archivio personale del maestro che lui stesso ebbe l’incarico di mettere in ordine alla sua scomparsa, avvenuta a Milano il 28 dicembre del 2022, due anni fa esatti. «Cavalleri adorava il bricolage e spesso dedicava il fine settimana alla creazione dei suoi “libri immaginari”» racconta Rivali in un articolo che sarà pubblicato nel numero di febbraio 2025 della rivista Studi Cattolici, un’altra creatura del compianto Cesare (ne fu direttore per 57 anni) che pure collaborò con Avvenire dalla nascita del giornale, il 4 dicembre 1968, alla vigilia della morte in un rapporto quasi ininterrotto, prima come critico televisivo poi letterario e titolare di varie rubriche. Questi pamphlet fatti in casa erano i “libri del cuore” che componeva con i ritagli di giornali sui suoi scrittori preferiti: recensioni, racconti, note biografiche. «Sono libri d’arte di cui preparava la copertina, le illustrazioni, così come l’indice e le didascalie – spiega Rivali – e tra questi non poteva mancarne uno dedicato a Dino Buzzati».
La vocazione dell’editore si manifestò così nel giovane e onnivoro lettore, che spaziava da Leopardi a Pound, da Ungaretti a Montale, da Corti a Flaiano, dalla poesia alla narrativa ai saggi di politica e teologia. Ebbene, proprio in mezzo alle pagine dell’album in questione, un grande quaderno rosso con la copertina dove risalta una veduta della basilica di Santa Maria della Salute di Venezia dipinta da Kokoscha nel 1951, ecco spuntare, sorpresa nella sorpresa, le quattro missive: nella prima, scritta a macchina, Cavalleri oltre all’ammirazione per Buzzati (si firma “suo dev. mo”) esprime sferzanti osservazioni su alcuni suoi lavori, nella seconda sollecita il destinatario, in appena tredici righe, a rispondergli dopo quasi un mese di vana attesa. La terza lettera, invece, è l’agognato riscontro dell’autore della Boutique del mistero, vergato a mano su carta intestata della redazione: un testo dove infila una specie di confessione umana e professionale e arriva perfino a chiedere scusa al suo affezionato ma “implacabile” lettore. Già nell’abbrivio del primo scritto, audace ma mai insolente, si riconosce il carattere di Cavalleri: «Egregio signor Buzzati – scrive – la considero fra i miei autori preferiti. Il preferito, forse, per quanto ora abbia letto soltanto Il deserto dei tartari e le novelle pubblicate sul Corriere. Mi piacciono molto, le sue novelle, ne ammiro i pregi e ne giustifico i difetti (certi finali, ad esempio, un po’ deludenti, se mi permette dilettanteschi, quasi, qualche volta, ma quasi necessari, messi lì per mascherare una qualche inconfessabile, terribile realtà che può comprendere lei solo…». Non verità confessabili per pudore o moralità, aggiunge, «comunque terribili da spaventare il lettore». E poi, il futuro editore e critico letterario (ma prima, appena laureato, sarà assistente universitario di Statistica a Verona) spiega il modo in cui ha voluto celebrare la sua devozione allo scrittore e fa una richiesta: «Ho l’abitudine di conservare le novelle sue per me migliori, di ritagliarle dal giornale e di raccoglierle in volumetti che mi sono molto cari. È appunto riordinando i miei ritagli che mi sono accorto in questi giorni di aver perduto, non so come, una novella che mi aveva particolarmente colpito, e di cui non riesco a ricordare il nome. Parlava di un sacerdote che aveva smarrito la nozione del tempo, ed ogni suo atto gli occupava un tempo sempre maggiore. Cominciava con una Messa di tre ore, e terminava con una parola di orazione (Ave?) che gli occupava tutta la giornata. La novità del soggetto e l’abilità del racconto, mi avevano entusiasmato, e poi mi sto accorgendo che un fatto quasi uguale sta accadendo quasi a me, per quanto molto giovane ancora io sia. Perché le ho scritto? Per chiederle se vuol essere tanto gentile da dirmi il titolo di quella novella per chiedere al Corriere il numero arretrato (sperando che ci sia)».
Ma la risposta di Buzzati si fa attendere. E allora, il 23 marzo, arriva un’altra stoccata di fioretto: « Fa sempre così o è perché non ha tempo? Perdoni se le scrivo ancora. Noi lettori crediamo di avere degli amici nei nostri autori preferiti, e ci troviamo mal disposti (sprovveduti) a queste piccole delusioni». E tanto bastò. Il giorno dopo Cavalleri si ritrova nella posta l’esito di quella sua insistenza: «Egregio Signor Cavalleri, perché non le avevo ancora scritto? Per la mia pigrizia epistolare. Mi scusi, se può, La sua lettera me la portavo sempre in tasca, ripromettendomi di rispondere all’indomani, sempre all’indomani. Comunque, la ringrazio delle parole così lusinghiere. E le do pienamente ragione circa la differenza fra X che scrive e X che va al cinema, differenza evidentemente solo esteriore (se X scrivendo è sincero) ma ciononostante impressionante. È anzi, questa, una incongruenza di cui alle volte sono tentato di vergognarmi. Quando penso al mio lavoro, mettiamo, mi commuovono motivi elevatissimi; un minuto dopo accendo la sigaretta e la mente corre dietro al nodo della cravatta, o peggio. Eppure questo è l’uomo, meravigliarsene è sbagliato, e guai, forse, se non fosse così. Tutto questo non per giustificarmi. La autorizzo, per quanto mi riguarda, a pensare tutto il male possibile (e forse non andrà tanto lontano dalla verità) sull’uomo». E Cavalleri replica, nel suo stile: «La ringrazio infinitamente per la novella che mi ha mandata, e per le gentili parole con le quali ha voluto accompagnarla. Davvero non meritavo tanto! Adesso mi trovo un po’ imbarazzato perché sono stato un po’ impertinente, ma è propriamente dei timidi dimostrarsi, per lettera, un po’ aggressivi. Mi perdoni, dunque, ed accetti, con rinnovati ringraziamenti e mille scuse, la mia incondizionata ammirazione».