“La cultura si respira fra le vie di Siena”. L’arcivescovo di Siena-Colle di Val d’Elsa-Montalcino, Antonio Buoncristiani, guarda la città di cui è pastore dal 2001. Originario di Cerreto di Spoleto, confida di fronte alla sfida della Capitale europea della cultura: “Da umbro dovrei fare il tifo per Perugia. Ma penso che questa competizione sia una straordinaria opportunità per Siena”.
Eccellenza, quale momento sta vivendo la città? “La storia recente di Siena è stata segnata dal benessere e dalla ricchezza derivate dal Monte dei Paschi. Fino agli anni Trenta del secolo scorso, Siena era una città povera benché celebre: basti ricordare l’alto tasso di tubercolosi che si registrava nella popolazione locale. Con la nazionalizzazione della sua banca, la città si è rifatta bella. Adesso il mito è caduto. La Fondazione Mps è simile a quella di una banca medio-piccola”.
Da Siena continua a passare il mondo. Inteso, oggi, soprattutto dal punto di vista turistico. “Il fascino di Siena è dovuto al fatto che, dal punto di vista urbanistico e architettonico, la città è rimasta quella era nei suoi secoli d’oro. Prendiamo Firenze: è bellissima ma è stata al centro di radicali cambiamenti. Siena, no: è intatta. E chi arriva qui gode delle cose del passato”.
Come descriverebbe il carattere dei senesi? “I senesi hanno un grande amore per la città. E hanno un’identità forte. Nel loro curriculum scrivono sempre anche la contrada a cui appartengono. E’ gente disponibile. La città ha partorito nella sua storia numerosi gesti di carità nonostante il quotidiano sia segnato dalla contrapposizione. I senesi sono generosi ma anche caratterizzati da una forte litigiosità. Basta citare il proverbio ‘O gioco o ti do noia’. Non è facile guidarli".
E la Chiesa senese? “Oggi la Chiesa locale fa i conti con un territorio su cui pesa una forte secolarizzazione. Qui la percentuale di chi si definisce indifferente o ateo è doppia rispetto alla media nazionale. Facciamo il possibile con le ridotte forze di cui disponiamo”.
Siena è terra di grandi figure di santità. “L’eredità di santa Caterina da Siena, copatrona d’Italia e d’Europa, è quanto mai attuale oggi. Lei ricordava che il potere è un ‘bene prestato’. Inoltre rimproverava le pubbliche autorità affinché andassero incontro ai poveri e si impegnassero a favore della pace. E poi c’è san Bernardino. Si tratta di donne e uomini di Dio che testimoniano anche la vitalità degli ordini religiosi nella città, in particolare dei Francescani, degli Agostiniani e dei Domenicani. Queste famiglie religiose hanno contribuito allo sviluppo della città. E hanno unito l’Europa. Aggiungo che i valori cristiani che si sono affermati nel Medio Evo hanno cementato la città. Cito ad esempio quelli della solidarietà o dei rapporti umani: sono valori che qui a Siena si vivono ancora nelle contrade”.
A proposito di contrade e Palio che hanno un’eco internazionale… “Siena è come una grande riserva indiana del tredicesimo secolo. Nonostante la caduta della Repubblica di Siena, lo spirito cittadino è rimasto quello. Le contrade sono una metafora della vita. Si dicono sorelle ma sono nemiche. A differenza di quello che si crede, questo tipo di società “antica” parla ancora all’uomo contemporaneo. Inoltre il Palio non è un torneo, ma una rivisitazione simbolica del passato glorioso della città. Va detto che il Palio è una manifestazione profana: ma se per caso non andassi a dire la Messa che precede un’edizione, succederebbe il finimondo. Si è molto legati alla tradizione”.
Quale rapporto ha oggi Siena con la cultura? “Il suo contenitore culturale è la città stessa che la storia ci ha consegnato. E il contenuto è oggi dato, ad esempio, dall’Università o dall’Accademia musicale Chigiana. A tutto ciò si aggiungono le numerose iniziative culturali che nascono dalla comunità locale: concerti, esibizioni teatrali, pubblicazioni di libri. Considero Siena una città culturalmente viva seppur nell’ambito della sua specifica tradizione”.
La città può ripartire dalla cultura per superare il declino? “Siena è una miniera di gioielli. Dalle finestre dell’episcopio si vede il Duomo. Da un lato della piazza, ecco la Cattedrale. Dall’altro, c’è l’ex ospedale di Santa Maria della Scala voluto nel Mille dai nostri canonici e fra i più antichi del continente. In questa piazza la fede e la carità si abbracciano. Proprio in Santa Maria della Scala ci sono significativi affreschi: ciò dice di una società in cui la sofferenza voleva essere lenita anche con il farmaco della bellezza. Si tratta di un approccio che viene dalla fede. Da questo patrimonio di cultura intrisa di Vangelo è possibile attingere per uscire dalla crisi di oggi. E anche il serbatoio dei beni culturali può essere un’opportunità in mezzo alle difficoltà odierne”.