
Un fotogramma del film catastrofico di Roland Emmerich “L’alba del giorno dopo” - archivio
Si chiama Climate fiction ed è un genere letterario che si è affermato grazie ai best-seller Isole nella Rete (1989)dell’americano Bruce Sterling e Solar (2010) del britannico Ian McEwan, solo per citare due tra i titoli più conosciuti. In Italia, tranne qualche rara eccezione, questo filone della fantascienza che racconta come l’uomo può provocare cambiamenti climatici dagli effetti devastanti per il pianeta, non è molto praticato. Per uno scrittore, infatti, cimentarsi in questo tipo di narrazione presuppone adeguate conoscenze scientifiche e una profonda consapevolezza dei rischi di degenerazione ambientale che corre la Terra. Facile, quindi, scivolare nella pura fantasia (non priva, comunque, di dignità letteraria) perdendo di vista ciò che accade nella realtà.
Da noi, a suscitare interesse con romanzi “cli-fi” di qualità (il termine Climate fiction fu inventato nel 2007 dal giornalista Dan Bloom) ci ha pensato Andrea Segré, docente di Economia circolare e Politiche per lo sviluppo sostenibile all’Università di Bologna, saggista e impegnato da anni nelle ricerche e nei progetti sullo spreco alimentare. Dopo l’esordio, nel 2024, con il romanzo Globesity. La fame di potere, dove si parla di un’insidiosa “bomba calorica” e delle conseguenze del troppo cibo e cattivo, esce il 19 marzo, sempre per i tipi della Minerva, il sequel Gelo profondo. La nuova era glaciale (pagine 304, euro 17,10): al centro della seconda indagine del giovane ricercatore universitario Giorgio Pani, stavolta, c’è l’incubo di una nuova glaciazione che minaccia il globo terracqueo.
Professor Segré, nel suo racconto lei prospetta uno scenario da apocalisse, ma qual è il confine tra fiction e realtà? Esiste in concreto il pericolo di una nuova era glaciale?
«Beh, possiamo dire che è una specie di anticipazione realistica... è una cosa che potrebbe accadere. Come ho scritto nell’esergo del libro: “Le persone sono di fantasia, i fatti verosimili, i luoghi reali, i dati verificati, le teorie possibili. Quanto narrato potrebbe davvero succedere. Forse è veramente successo”».
Ci sono dunque ricerche scientifiche che avvalorano questa ipotesi?
«È allo studio, come risposta al riscaldamento globale, il sequestro, attraverso tecnologie avanzate, dell’anidride carbonica dagli oceani. E io ho immaginato che, togliendo CO2 oltre un certo limite, si possa avere invece un effetto diverso da quello voluto: si interviene perché abbiamo troppo caldo ma ogni “rivoluzione”, se non gestita bene, può portare a soluzioni negative. Perché non viene capita bene, come accade al giovane ricercatore protagonista del romanzo, o perché esistono interessi forti che la condizionano. Insomma, la tecnologia che “gioca” con le emissioni CO2 può salvare la terra dalle temperature torride, ma può anche ibernarla …».
La vicenda che lei narra nel libro si sviluppa in diversi luoghi: Trieste, la sua città natale, Ceuta, enclave spagnola in Marocco, Siviglia, l’Est europeo. Significa che l’emergenza ambientale non è solo un problema di casa nostra...
«Nella logica del cambiamento climatico tutto è collegato, non dipende da un solo Paese. Per capirla e affrontarla bisogna uscire dalla nostra dimensione personale, privata, e quindi chiusa. Anche il fenomeno delle migrazioni va visto in questa chiave: crescono sempre di più i migranti climatici, uomini, donne e bambini costretti a lasciare la loro terra diventata invivibile a causa degli eccessi del clima. Nel libro ne parlo, ho preso spunto dalla cronaca. È stata dura per me immedesimarmi con quelle persone che hanno viaggiato per giorni nascosti nel cassone di un camion frigorifero...».
Trieste è un’altra protagonista del suo romanzo...
«La conosco bene. Parlo della Città della Scienza, che esiste veramente, e mi sono inventato un’organizzazione segreta che, sottoterra al Porto Vecchio, ha creato impianti per catturare enormi quantità di CO2, un’organizzazione criminale ramificata in tutto il mondo. È un modo per far capire la relazione stretta tra quello che succede e quello che potrebbe accadere se...».
Comunque non è sempre così evidente il cambiamento del clima, c’è anche chi lo nega, nonostante i roghi di Los Angeles, lo scioglimento dei ghiacci in Groenlandia, gli eventi estremi che flagellano i continenti.
«C’è, in effetti, un generale disorientamento. Eppure, se sei attento e non hai pregiudizi ideologici, capisci sulla tua pelle che qualcosa sta mutando. Prima il cambiamento era lento e non te ne accorgevi, adesso no. Accadono troppi eventi estremi: inverni caldi, estati fredde, le anomalie sono sotto gli occhi di tutti. Basta guardare anche i paesaggi che ci circondano, come sono cambiati».
Cosa si può fare, allora?
«Siamo noi , innanzitutto, a dover cambiare atteggiamento. Non possiamo aspettare che siano gli altri “a fare qualcosa”, o le istituzioni. La spinta deve venire dal basso, dai nostri personali stili di vita, da una maggiore sobrietà. Ecco il messaggio che cerco di dare, anche nel libro. Vero è, però, che invadere un altro Stato, mettere dazi, sostenere politiche discriminatorie va in senso contrario a questa logica. Solo noi, in democrazia, possiamo decidere».
E che ruolo ha, in questo contesto, la lotta allo spreco alimentare?
«Quella, nel mio impegno quotidiano, e anche nei romanzi che scrivo, c’è sempre. Anche in questo caso, però, la diminuzione dello spreco domestico, dipende da noi: bastano solo pochi grammi di cibo da smaltire ogni giorno. Anche se lo spreco in Italia a febbraio è tornato a crescere con 8,2 milioni di tonnellate di cibo buttato nella spazzatura. Sarebbero, in media, 88,2 grammi di cibo al giorno per ciascun cittadino».
Ci sarà un altro sequel? Leggeremo nuove storie del ricercatore Giorgio Pani?
«Credo proprio di sì. Ci sto già pensando.... Bisogna dare ancora un messaggio forte e questa del Climate thriller è una strada da seguire, che ci consente di raggiungere un pubblico più vasto rispetto a quello del saggio scientifico. Mesi fa, quando scrivevo Gelo profondo, non pensavo allo scenario che si sta delineando con la nuova amministrazione Trump e che adesso si fa fatica a interpretare bene, con questa comunicazione forsennata e ad effetto sui social network che ha forti ricadute sulle Borse e anche sull’opinione pubblica».