I "fasciocomunisti" non sono un’invenzione di Antonio Pennacchi e neppure una stravagante minoranza da relegare nella galleria del bizzarro: forse rappresentano, invece, l’unica avanguardia rivoluzionaria europea sopravvissuta al Novecento. Almeno, questa è la sensazione che resta dopo la lettura di L’Altro Che, un originale e brillante saggio di Mario La Ferla, inviato speciale dell’Espresso, appena pubblicato da Stampa Alternativa (pagine 216, euro 14). Il sottotitolo la dice tutta: «Ernesto Guevara mito e simbolo della destra mi- litante», come se, ora che il guerrigliero argentino è diventato un’icona pop, il testimone dell’utopia rivoluzionaria che ne ha animato le gesta sia passato idealmente nelle mani degli epigoni di Mussolini. Tanto per cominciare, come ha già brillantemente dimostrato Ludovico Incisa di Camerana nel suo I figli del Che, la rivoluzione sognata dal Che e dal suo amico Castro è nazionale e di popolo, e se alla fine Cuba dovette rivolgersi all’Urss fu solo perché ci fu costretta dall’ostruzionismo Usa, che servì però da stimolo a creare un fronte allora efficace e potente - di Paesi non-allineati che cercavano una Terza via. Tralasciando la geopolitica, restano comunque dei fatti a sostegno della provocatoria tesi di La Ferla: innanzitutto l’ammirazione, che spesso sconfinò addirittura in devozione, da parte di alcune frange dell’estrema destra italiana ed europea verso il «cavaliere senza macchia e senza paura». Da Jeune Europe a Terza Posizione, passando per la Nuova Destra e arrivando fino alla contemporanea Casa Pound, sono moltissimi i movimenti neofascisti che hanno dichiaratamente espresso la loro simpatia e vicinanza per Guevara. Strano ma vero, i primi a esprimere pubblicamente il loro cordoglio, battendo sul tempo l’estrema sinistra, furono gli artisti del Bagaglino - sì, proprio loro, da Oreste Lionello a Castellacci e Pingitore - che incisero subito dopo l’assassinio del Comandante un 45 giri intitolato «Addio Che», cantato da Gabriella Ferri. Allo stesso modo è di provenienza neofascista il primo libro sul Che pubblicato in Italia: El Che Guevara, scritto dal ragazzo di Salò Adriano Bolzoni, che ne ricavò anche una sceneggiatura, subito trasformata in film. Ma l’infatuazione della destra per il 'Che' si basava pure su oggettivi riscontri, come l’amicizia che legava Guevara a colui che alcuni considerano l’ultimo leader fascista del Novecento, Juan Domingo Peròn. I due, infatti, si incontrarono, segretamente ma non troppo, nella Spagna franchista, sotto l’occhio benevolo del Caudillo.E, per completare il quadro anticonformista del guerrigliero morto nella Sierra boliviana, la leggenda narra che avesse con sé, quando fu tradito, un libro comprato in Spagna e a cui teneva moltissimo: gli Scritti e discorsi di battaglia di Josè Antonio Primo de Rivera, fondatore della Falange Spagnola fucilato - dai comunisti - durante la Guerra Civile di Spagna. Ernesto 'Che' Guevara in una immagine del 1958