Un ritratto dell’attore e regista Fausto Russo Alesi - Fabrizio Cestari
Fausto Russo Alesi è uno di quei rari attori la cui presenza al cinema, a teatro o in televisione è sinonimo di qualità. Il poliedrico attore palermitano, 51 anni, lo dimostra nel polemico Pietro Giordani del Leopardi – Il poeta dell’infinito di Sergio Rubini che si conclude stasera su Rai 1, come nei complessi personaggi che gli affida Marco Bellocchio di cui è attore immancabile: il commovente padre ebreo Momolo Mortara nel film Rapito di Marco Bellocchio, il problematico Cossiga della serie tv Esterno notte, l’appassionato Giovanni Falcone del film Il traditore.
Una carriera, la sua, cresciuta lavorando sodo senza fare rumore, passando dalla Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano alla collaborazione con Serena Sinigaglia, a un decennio di ruoli fenomenali per Luca Ronconi. Sino a diventare docente e regista egli stesso (dall’8 marzo torna in scena la sua L’arte della commedia di Eduardo al Teatro Donizetti di Bergamo) e inanellare una infinità di premi fra cui tre Premi Ubu e il recentissimo premio dell’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro.
Fausto Russo Alesi ha una carriera così ricca da raccontare: da dove cominciamo?
«Da quando lasciai Palermo a 18 anni. Andare a studiare teatro a Milano è stata la prima svolta, ci voleva un passo grande per allontanarmi da casa e avventurarmi nella scoperta di questo lavoro e di sé stessi attraverso la recitazione. E’ uno di quei lavori che necessitano di una passione viscerale, ma questa passione lavorava in me sin da piccolissimo, anche se non ero andato a teatro molte volte. All’epoca mi assorbivano totalmente lo studio e la pallavolo che praticavo a livello agonistico, uno sport meraviglioso che fa parte della mia formazione, perché la cosa essenziale è costruire insieme. Dall’oggi al domani l’ho lasciato allo sbocciare di questa nuova passione, senza avere alcuna certezza».
Cosa significa per lei recitare?
«Questo mestiere ti porta a lavorare su te stesso per cercare risposte, anche se la risposta definitiva non arriva mai. Il teatro ti tiene sempre in movimento per cercare qualche cosa di così vicino te. I miei personaggi sono inquieti perché vi trasferisco la mia inquietudine. La vita delle persone e dei personaggi sta nelle crepe, in quelle ferite che vai a curare e che hanno tutti. Mi interessa andare a conoscere un personaggio attraverso le fratture. Si può essere più o meno risolti o vincenti, ma in realtà le insicurezze rappresentano di più quello che siamo profondamente. Ed è bello scoprirlo insieme quando ci si incontra attraverso l’arte. E i grandissimi autori della letteratura che ho frequentato, da Cechov a Dostoevskij, Shakespeare e Eduardo, ci hanno detto tutto, arrivano all’oggi con qualcosa che riguarda noi».
Spesso lei dà vita a personaggi tra luci e ombre. Quale la difficoltà di interpretarli?
«Quando racconto un personaggio, positivo o negativo, tengo conto che è una persona e che bisogna guardarla a 360 gradi. Il mio personaggio preferito? Shylock è un incontro sulla strada fatto grazie a un grande maestro del teatro che è stato Ronconi che, a me 36enne, affidava nel Mercante di Venezia un ruolo gigantesco solitamente recitato con una età diversa. Io amo non avere nessun tipo di barriera, ma libertà assoluta di interpretare in modo il più possibile personale un personaggio, in totale dialogo col regista. Perché, ad esempio, un personaggio realmente esistito come Momolo Mortara oggi risuona quantomai attuale. E’ la complessità umana insieme alle dinamiche sociali e relazionali che mi piace indagare».
Sia il personaggio di Mortara che il suo poeta Pietro Giordani si ritrovano in opposizione all’istituzione ecclesiastica di metà Ottocento. Come mantenere l’equilibrio nel raccontarli?
«Molto spesso lavoro su personaggi che si confrontano in maniera molto diretta col potere che ritroviamo nei vari ambiti della nostra quotidianità. Il rapporto con il potere della religione o politico istituzionale l’ho incontrato a teatro più volte, da Macbeth a L’arte della commedia con un Eduardo De Filippo molto arrabbiato che cerca un dialogo con l’autorità. La stessa cosa fa Momolo Mortara, cerca un dialogo con l’autorità ecclesiastica, lo stesso Cossiga di Esterno Notte è in dialogo con le gabbie del potere. Pietro Giordani è un personaggio anticonformista che mette in discussione la famiglia, l’ordine religioso, l’ordine politico e lo fa per un ideale di bellezza e di giustizia. Mi ha appassionato moltissimo, è un senza catene, ha fatto anche un percorso di emancipazione. Quello che intuisce del genio di Leopardi è il potenziale incredibile che va liberato dalle costrizioni che gli impediscono di essere profondamente se stesso. Leopardi ha cultura, genio pulsante e Giordani sente che deve aiutarlo a disobbedire dalle regole per essere più vicino a quello che è. Leopardi si libera e arriva a noi in maniera dirompente. Ed è stato molto bello incontrare un regista come Sergio Rubini, un artista che ho sempre stimato, e percepire la sua sensibilità».
Gli incontri con grandi registi non le mancano nel curriculum…
«Ho avuto la fortuna enorme nel mio percorso di incontrare personalità gigantesche, sin dall’inizio Gabriele Vacis, Armando Punzo, Gigi Dall’Aglio. Appena uscito continuammo la formazione coi colleghi del corso della Paolo Grassi e formammo una compagnia, da lì nasce il mio rapporto con Serena Sinigaglia. L’incontro con Nekrosius è stato fortissimo, la svolta quando mi diede il ruolo di Kostia nel Gabbiano di Cechov. Poi tutto il periodo col Piccolo Teatro iniziando dal Grigio a un anno dalla morte di Gaber dove mi scelse Ronconi e da lì 10 anni con lui in spettacoli importantissimi, poi l’incontro con Bellocchio con cui è nato un rapporto meraviglioso di collaborazione fra cui l’ultimo progetto Se posso permettermi. Capitolo II».
Anche lei è passato poi alla regia e all’insegnamento.
«Incontrare personalità così forti ti lascia un bagaglio enorme. Tutto è iniziato quando ho fatto la prima esperienza di formazione al Centro Teatrale Santacristina a un anno dalla morte di Ronconi. Quando ricevi tanto devi dare qualcosa, da lì si è aperta l’esigenza incontrare i giovani e raccontare la mia esperienza. E’ un mio modo di essere dentro le cose, un mio punto di vista. Anche nella regia. Dopo Natale in casa Cupiello, torno per il terzo anno consecutivo con L’arte della commedia di Eduardo. E’ un testo poco rappresentato, uno straordinario ragionamento quasi filosofico sul teatro e sull’utilità sociale dell’arte. Stiamo anche lavorando per riprendere Ifigenia in Aulide di Euripide nato presso Bottega XNL “Fare Teatro” di Piacenza. E’ un monito contro qualsiasi guerra, Aulide è il luogo metaforico della coscienza, il luogo in cui ancora puoi dire no, puoi non fare quello che scatenerà una catena di eventi senza senso».