Il 31enne direttore d’orchestra sudcoreano Min Gyu Song - Premio Cantelli
Dice di non essere sicuro «di essere nato direttore d’orchestra». Ma assicura che ha fatto di tutto, e che lo sta ancora facendo, «per diventarlo ». Una “patente” importante sicuramente adesso Min Gyu Song l’ha in mano. Ed è il primo posto al Premio internazionale Guido Cantelli. Il musicista sudcoreano è salito sul gradino più alto del podio dell’edizione 2024 del concorso che nel 1967 ha consacrato Riccardo Muti, concorso ripartito nel 2020 (la prima edizione nel 1961) dopo quarant’anni di silenzio (nel 1980 lo vinse Donato Renzetti) per volontà della città di Novara, la città di Guido Cantelli, tragicamente scomparso nel 1956, appena nominato direttore musicale del Teatro alla Scala. « Leggo l’elenco dei vincitori e non ci credo ancora che ai loro nomi si aggiunge ora il mio» dice Min Gyu Song, 31 anni, attualmente direttore residente dell’Accademia dell’Opera nazionale coreana di Seul. Gli studi in Corea del Sud, il perfezionamento con Roger Norrington, Johannes Schlaefli, Markus Stenz e Osmo Vänskä, ma anche, primo studente coreano, con Steven Sloane alla Universität der Künste di Berlino. « E ora – racconta il direttore – spero che la vittoria al Cantelli apra nuove opportunità per la mia carriera in Europa».
Partiamo da lontano, Min Gyu Song . Cos’è per lei la musica?
« È l’espressione e il linguaggio più bello dell’anima. Chiunque può comprenderne il messaggio, se si mette davvero in ascolto. Non mi sembra sbagliato usare il termine magia…».
E quando è stato conquistato da questa magia?
«Da ragazzino ho assistito ad un’esecuzione della Prima Sinfonia di Johannes Brahms e sono rimasto assolutamente sopraffatto e affascinato da questa musica. E quello è stato il momento in cui ho deciso di diventare un direttore d’orchestra. Avevo 12 anni».
Una passione nata in famiglia?
« In casa sono l’unico musicista, nessuno suona. Io ho iniziato con il pianoforte, ma suono anche il clarinetto. Cantare in coro è una delle mie attività preferite, anche se non ora, preso dagli impegni sul podio, non ho molte occasioni per farlo».
Nato in Corea, gli studi in patria, ma anche in Europa. Perché la scelta di volare nel Vecchio Continente?
« Ho deciso di trasferirmi in Germania a 14 anni perché sono convinto che la musica classica sia profondamente legata alla lingua e alla cultura europea. Pur avendo iniziato a conoscere la musica da soli due anni non vedevo l’ora di immergermi in tutto ciò che questa cultura rappresentava e rappresenta ancora per me».
Molti cantanti, musicisti e direttori d’orchestra che oggi si esibiscono in occidente provengono dalla Corea del Sud. Qual è la situazione della musica nel suo Paese?
« La musica classica ha profondamente preso piede. Come gli italiani, i coreani amano cantare e sono naturalmente portati ad esprimere emozioni. Tuttavia, considerando quanto siano importanti la cultura e la lingua per comprendere la musica, penso che sia quasi una scelta obbligata quella di studiare in Europa».
Come si spiega il così grande numero di talenti musicali? E come vede il loro futuro?
«Credo che la diligenza costante nello sforzo e nella pratica, supportati dal talento e dall’abilità innata, ma anche fortificati dalla passione per il successo e da un ambiente competitivo, aiuti a far emergere molti musicisti di talento. Tuttavia, ci sono sia vantaggi che svantaggi in questo, non tutti potranno emergere, essere solisti… ma potranno comunque lavorare con grandi orchestre».
Cosa significa per lei essere un direttore d’orchestra?
«Un direttore d’orchestra è un interprete, un mediatore, uno stratega e un artista ispiratore. Innanzitutto è fondamentale comprendere profondamente e interpretare la musica ed essere un artista capace di comunicare efficacemente questo ai musicisti dell’orchestra. Il direttore svolge anche il ruolo di mediatore quando necessario e agisce come stratega per la crescita dell’orchestra. Non solo, sempre più spesso ci vengono richieste anche qualità di tipo manageriale. Ecco allora che un direttore deve essere una persona dalle molteplici competenze».
Ma quando sale sul podio cosa vuole trasmettere?
«Cerco di trasmettere la mia visione dell’opera e di comunicare in modo chiaro e rispettoso con l’orchestra. Perché, alla fine, sono loro che suonano, non io. Sono profondamente grato per il modo in cui interpretano ed esprimono la musica secondo la mia direzione e visione. Anche loro contribuiscono con le loro idee a creare un’interpretazione».
Che musica le piace dirigere?
« Non faccio differenze tra classica e contemporanea. Mi piace dirigerle entrambe. E credo profondamente che come musicisti abbiamo il compito di far conoscere la musica del nostro tempo».
E invece che musica ascolta?
« Principalmente musica classica, ma anche jazz. E quando non dirigo mi dedico allo sport, la palestra, ma anche al golf al quale mi sono avvicinato di recente».
Trentun anni, generazione digitale. I social fanno bene alla musica?
«Certamente. Penso che fornire più informazioni sulla storia della musica, il contesto in cui un brano si inserisce, ma anche raccontare il dietro le quinte possa avvicinare le persone alla musica, aiutandole ad apprezzarla e amarla sempre di più».
Ha modelli tra i direttori del passato?
« Direi Carlos Kleiber, Carlo Maria Giulini e Mariss Jansons. Sono comunque convinto che l’idea del direttore carismatico, se vogliamo dire “dittatore”, sia anacronistica e superata. Direttore e musicisti devono collaborare rispettosamente per creare una grande interpretazione ».
Che autori ama dirigere?
«Sicuramente Gustav Mahler e Richard Strauss, ma anche Claude Dubussy e gli “impressionisti”. Sul fronte lirico amo Giacomo Puccini, Tosca e Bohème, e le opere di Richard Wagner».
E come affronta una partitura quando la mette sul leggio?
«Cerco innanzitutto di ascoltare una registrazione storica. E se non c’è una registrazione disponibile, la suono al pianoforte. Poi inizio ad analizzare la struttura, il carattere e la fraseologia del pezzo. La scompongo esaminando l’orchestrazione e cerco di ricostruirla attraverso l’interpretazione».
Se non fosse diventato un direttore cosa avrebbe fatto nella vita?
« Penso che sarei sicuramente diventato un pilota, visto che mi piace molto guidare. E volare sarebbe stato ancora meglio».
Dove si vede tra dieci anni?
« Mi vedo viaggiare molto, dirigendo meravigliose orchestre con programmi eccellenti. Il sogno di tutti i direttori »