La poetessa ugandese Susan Kiguli - Herby Sachs / Interlinea
«Viviamo le nostre sfide / così come vengono / a noi la poesia non / accade per caso / è il cuore stesso / che ci forma / che ci guida». Sono versi che vengono dal cuore dell’Africa e hanno un respiro universale: versi dalla poetessa ugandese Susan Kiguli, che all’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha presentato la sua prima opera in italiano Terre che piangono (a cura di Antonella Sinopoli, traduzione di Marta Zonca; Interlinea, pagine 180, euro 14; in uscita l’11 novembre). Quella di Milano è un’anteprima del Festival internazionale di poesia civile di Vercelli, che proseguirà sino a domenica 29 ottobre. Festival che, giunto alla diciannovesima edizione, ha attribuito proprio a Kiguli il premio alla carriera 2023, «volendo attraverso di lei sostenere l’intera cultura africana». Ed è proprio così che lo vive questa accademica e poetessa di 54 anni, che soppesa le parole come se fossero, ciascuna, qualcosa di prezioso: «Sono cresciuta nell’amore delle parole - ci dice Kiguli - . Questo premio è un riconoscimento straordinario per me, ma sento allo stesso tempo che non è solo per me: è per tutte le scrittrici africane e per tutte le ragazze che lo desiderano diventare e per le quali vorrei essere un esempio. Vorrei che vedendo me possano dire: “Anch’io ce la posso fare!”. Ecco perché ritengo molto importante questa iniziativa».
Questo sguardo, al contempo personale e sociale, letterario e di impegno civile, è presente in molte delle poesie riunite in questa ricca e inedita raccolta. «Vivo la scrittura come una “chiamata”, una “vocazione” - riflette la poetessa - . Credo nella forza della parola per porre domande, per rompere barriere, per sfidare il potere. Credo nella forza della parola come strumento per cambiare le cose e costruire un mondo diverso. E credo fermamente che la parola sia l’unica arma per affrontare i conflitti». È un tema quello della guerra che ricorre spesso nei suoi versi, sia che riguardi la storia del suo Paese spesso funestata da violenze inaudite - come quelle perpetrate per quasi due decenni del Lord’s Resistance Army nel nord dell’Uganda - sia che evochi altri contesti come l’orrendo genocidio del Rwanda nel 1994. Una poesia, in particolare, dal titolo Ai mercanti di guerra di tutto il mondo, sembra scritta ieri, ma risale agli anni Novanta: « Diteci / avete iniziato questa guerra / come una fiera del male / che svela i diversi volti / di Lucifero a masse terrorizzate?». «Voglio che si guardi in faccia la guerra e tutto l’orrore e il dolore che essa provoca soprattutto a persone innocenti che non chiedono altro se non di vivere ed essere felici - precisa Kiguli - . Ma voglio anche che le persone si parlino. Solo parlandosi l’un l’altro si possono disinnescare i conflitti. E la poesia, nelle sue differenti forme, può svolgere un ruolo importante».
La poetessa ugandese trae questa convinzione anche dalla conoscenza e dallo studio della tradizione orale del suo Paese e dall’analisi di varie forme culturali e letterarie che insegna alla Makerere University di Kampala. « La nostra vita è una poesia ed è con la nostra vita che possiamo cambiare il mondo. Questo avviene non solo nell’atto dello scrivere, ma più in generale nel modo in cui ci esprimiamo in questo mondo, lo viviamo e lo trasformiamo. Ma è qualcosa che dobbiamo fermamente volere. E volerlo insieme. Da soli siamo poca cosa, ma se ci mettiamo insieme e creiamo reti possiamo avere un grande potere». È quello che lei stessa continua a fare da molti anni, non solo attraverso i suoi versi, ma promuovendo associazioni e iniziative che valorizzano soprattutto i talenti delle donne.
Susan Kiguli, infatti, è attivamente impegnata a sostegno della scrittura femminile in Africa ed è membro fondatore di Femrite, l’Uganda women writers association (Associazione delle scrittrici dell’Uganda), nata a metà degli anni Novanta dalla consapevolezza che, nella ricca tra-dizione letteraria ugandese, mancassero le voci delle donne: «Ciò ha comportato un'omissione delle esperienze delle donne dal patrimonio letterario e culturale che modella la società». E questo non solo Uganda, ma anche in molte altre parti dell’Africa, dove il panorama della letteratura continua a essere dominato da scrittori uomini. «Viviamo ancora in una società patriarcale, che promuove i maschi a tutti i livelli. Purtroppo anche nell’accesso all’istruzione - puntualizza Kiguli - . La pandemia di coronavirus, inoltre, non ha fatto che peggiorare le cose, togliendo migliaia di bambini e bambine dalle scuole che sono rimaste chiuse per 22 mesi. Molti non vi sono più tornati. E moltissime ragazzine hanno subito violenze o sono state messe incinte. Sono profondamente convinta che l’istruzione sia la chiave per lo sviluppo in tutte le sue forme: per cambiare la mentalità e la società, l’economia e la politica, e per creare nuove leadership in tutti i campi. Le donne sono oggettivamente i pilastri delle nostre società, ma devono essere maggiormente valorizzate e supportate. Senza di loro non ci può essere nessun cambiamento e nessuno sviluppo».
Lo stesso vale per le scrittrici. Kiguli maneggia con cura il termine “femminista”, che ha troppe accezioni e sfumature ambigue. Semmai lo interpreta e lo vive in maniera più “inclusiva”. È vero che, attraverso il progetto Women writing Africa, sostiene personalmente la scrittura femminile africana, ma il suo sguardo e il suo impegno si allargano ad abbracciare tutto il mondo letterario del continente che, a suo avviso, pure con molte differenze, chiede globalmente maggiore considerazione e investimento. «I nostri leader politici devono per primi cambiare la loro mentalità e sostenere la cultura. Ma forse non lo fanno perché temono che poi non possono più controllarci… Sta di fatto che, ancora oggi, quasi nessuno scrittore in Africa, uomo o donna che sia, riesce a vivere del suo lavoro. Ma sono convinta che mettendoci insieme potremo avere più potere». Il potere della parola, ovviamente. Parola che è vita: «Noi non scriviamo la nostra poesia / Noi la viviamo».