Ci sono gli imam immigrati, stipendiati dai Paesi d’origine, quelli di seconda generazione, già integrati in una rete di islam europeo, ma anche quelli 'fai-da-te', poco preparati e fuori controllo. Con l’affermarsi della presenza musulmana in Europa, anche il ruolo delle guide religiose è cresciuto in importanza: oltre a officiare la preghiera collettiva, rappresentano un punto di riferimento per i fedeli immigrati, in cerca di consiglio sull’applicazione quotidiana dei precetti. «È un ruolo molto delicato, perché queste comunità sono prive di un’istanza rappresentativa ed esiste quindi il rischio che si affidino a sedicenti esperti religiosi o a predicatori su internet, avulsi dalla realtà europea e caratterizzati da un approccio spesso contrario all’integrazione»: a lanciare l’allarme è
Michel Younès, docente di teologia all’Università cattolica di Lione, dove è responsabile del Centre d’Etudes des Cultures et des religions. «In particolare, gli imam devono confrontarsi regolarmente con domande che riguardano la conciliazione tra fede e leggi dello Stato», aggiunge Younès. «È per venire incontro a quest’esigenza che abbiamo pensato a un corso di formazione che insegni le norme, i valori e i costumi sociali di base del contesto europeo». L’idea, coltivata da anni da Kamel Kabtane, rettore della Grande Moschea di Lione, si è concretizzata un anno fa grazie alla collaborazione tra lo stesso Ateneo cattolico (a nome del quale il professor Younès coordina il corso), l’Università Lyon 3, la prefettura e alcune istituzioni islamiche. Obiettivo: aiutare gli imam a diventare fattori di integrazione.
Professore, come funziona il corso? «C’è una parte teorica che approfondisce le questioni giuridiche, in particolare il diritto alla libertà religiosa e le libertà fondamentali, la storia del cristianesimo e dell’ebraismo, oltre a lezioni intensive di francese per gli imam arrivati da poco. Abbiamo poi alcune sessioni di analisi pratica, che prevedono simulazioni di situazioni concrete con l’obiettivo di dotare i partecipanti di strumenti per affrontare tensioni o richieste legate al fattore religioso nella vita pubblica. La peculiarità del nostro corso è che alcuni dei moduli, come quelli pratici, sono in comune con un diploma universitario rivolto ai funzionari statali, chiamati a confrontarsi col pluralismo religioso nei propri contesti professionali: scuole, ospedali, istituti di detenzione. In questo modo, permettiamo agli imam e agli opera- tori statali di conoscersi e di confrontarsi».
La formazione punta molto sulla laicità: perché? «Soprattutto nel contesto francese, comprendere la laicità è imprescindibile: è fondamentale che non sia percepita come un attacco alla religione ma, al contrario, come uno spazio in cui le fedi si possono esprimere. Gli imam europei, inoltre, devono sapere come l’islam si è rapportato alla modernità: per questo alcune lezioni, tenute da esperti musulmani, approfondiscono ad esempio la relazione tra scienza e fede, spiegando come sia possibile interrogare la religione secondo un metodo scientifico, senza per questo distruggerla».
Chi sono questi imam europei? «Il loro profilo è piuttosto vario. Alcuni sono legati ai Paesi d’origine, dai quali sono anche sostenuti economicamente, a volte con contratti di lavoro. Altri potrebbero essere definiti 'imam auto-proclamati': semplici fedeli che magari conoscono la religione un po’ più della media e per questo si trasformano in guide religiose di un gruppo, del quartiere, o del carcere. Rappresentano una minaccia, perché non sono controllabili. Ci sono infine gli imam nati o cresciuti in Europa, legati a federazioni europee. A Lione abbiamo diverse reti, riunite nell’Unione delle organizzazioni islamiche di Francia, e l’ Institut Français de Civilisation Musulmane, con cui collaboriamo nell’organizzazione dei corsi: interlocutori autorevoli coi quali confrontarci». C
he cos’è la 'fatwa di minoranza', che lei teorizza? «Il termine fatwa indica un parere giuridico emesso da un esperto sulla base del Corano e della Sunna, e riguarda sia la vita quotidiana sia questioni più complesse, come la politica o la finanza. A Dublino esiste il Consiglio europeo della fatwa e della ricerca (Cefr): noi abbiamo svolto uno studio di tre anni per capire chi si rivolge a questa istituzione, che cosa domanda e che cosa gli viene risposto, e siamo rimasti sorpresi dalle modalità che in alcune occasioni sono state trovate per adeguare le regole del Corano al contesto europeo. Ad esempio, una decisione del Cefr autorizza le minoranze islamiche in Europa, che non hanno accesso alle banche operanti secondo le regole della shari’a, a usufruire di prestiti a interesse, di norma illeciti. La 'fatwa di minoranza' costituisce dunque una nuova concezione canonica sviluppatasi in questi anni, un’evoluzione interna all’islam in quanto religione minoritaria in Europa ».
Esiste un 'islam europeo'? «L’Europa non è uniforme, né lo è il modo con cui gli immigrati musulmani rielaborano la propria fede nel confronto con la modernità: c’è chi rigetta la religione, chi tenta di conservarsi e chi prova una ricomposizione, dando origine a modelli più liberali. Per esperienza posso dire che questo islam rielaborato in Europa può avere un’influenza positiva anche nei Paesi d’origine dei migranti. Certo, è un processo che richiede tempo».
A che punto è il confronto tra cristianesimo e islam in Europa? «Il contesto europeo favorisce questo confronto, in virtù della laicità e in questi anni in Francia abbiamo potuto realizzare momenti significativi di dialogo: gli imam hanno avuto modo di interrogarsi sugli insegnamenti della propria fede e delle altre riguardo la convivenza. Una convivialità della quale lo Stato si è fatto garante».