sabato 5 aprile 2025
Nei saggi dello storico Giorgio Cosmacini emerge come il dialogo tra sapere scientifico e umanistico tocchi salute individuale e collettiva
Il santuario di Asclepio a Coo

Il santuario di Asclepio a Coo - WikiCommons

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Che c’entra la filosofia con la medicina? È una domanda spontanea in chi s’imbatte nell’ultimo libro di Giorgio Cosmacini, il nostro maggior storico della medicina, che s’intitola appunto Medicina e filosofia (Pantarei, pagine 254, euro 15,00). Una raccolta di “saggi di storia biomedica e sociosanitaria”, come precisa il sottotitolo, che riunisce una serie di contributi, scritti tra gli inizi degli anni Novanta e i giorni nostri, su temi e problemi di grande rilevanza medica, molti ancora oggi fonte di confronto e di aperto dibattito culturale.

L’intersezione tra il sapere scientifico della medicina può trarre vantaggio dal sapere umanistico della filosofia nella realizzazione di una pratica sanitaria per la salute? È lo snodo fondamentale della possibile intersezione tra due approcci culturali e metodologici diversi che definisce la legittimità e la necessità di una visione filosofica in grado di qualificare teoria e pratica della medicina. Cosmacini precisa la matrice storica di questo processo metodologico, specificando come al riguardo vi sono due e opposte scuole di pensiero. «L’una – scrive – considera medicina e filosofia due attività eterogenee completamente separate, l’altra invece vede la medicina in continuità-contiguità osmotica con la filosofia».

Lo sancisce anche l’antico aforisma Nullus medicus nisi philosophus (non c’è medico che non sia filosofo), ma lo conferma anche oggi il significato attuale che dà valore a questa affermazione per chi vuole esercitare in pienezza il mestiere di medico. In quanto detentore dell’arte della cura da impiegare a vantaggio dell’uomo, il dottore (il curante) deve possedere la philosphia (filosofia) – sintesi tra conoscenza e pratica – per poter mettere la scientia (scienza) – sintesi tra sapienza ed esperienza – al servizio del malato (il curato), integrando armonicamente ed eticamente la tecnologia sanitaria, oggi così efficiente e onnipresente, con l’antropologia medica, oggi troppo spesso carente o addirittura assente. Nel libro di Cosmacini emerge con chiarezza come la duplice natura del sapere medico (insieme naturalistico-scientifico e umanistico-speculativo) deve saper trovare un’adeguata sintesi nella visione antropologica in grado di valorizzare l’individuo come persona e nell’indagine epidemiologica capace di considerare la collettività come popolazione. Due estremi di una stessa realtà sanitaria che s’intersecano nell’unica preoccupazione che deve guidare l’operato del medico: la salute dell’uomo.

Un rapporto, quello tra medico e paziente, che ha una «tormentata storia», come ricorda l’autore, ma che deve sempre rifarsi alle sue radici originarie, per mantenere, anche nel passare secolare del tempo, la sua peculiarità di «rapporto duale», cioè di relazione a due. Vero pilastro portante di questa relazione è l’amore: amore per l’arte medica (tecnofilia), ma anche amore per l’uomo (filantropia), due dimensioni in grado di configurare anche rispetto, attenzione e financo affetto come elementi fondanti della cura destinata alla persona malata. «Il rapporto tra medico e malato – osserva Cosmacini ricordandone l’evoluzione storica –, in sé squilibrato e asimmetrico perché al sapere-potere del primo corrispondeva la dipendenza passiva del secondo, era riequilibrato e riportato in simmetria dal dovere che il medico responsabilmente si dava (si pensi al dettato deontologico del Giuramento di Ippocrate) per garantire al paziente di essere adeguatamente curato». L’etica del rapporto medico-paziente, riprendendo la parola d’ordine «scienza e umanità» pronunciata da molti medici fra Ottocento e Novecento, ha incorporato in passato nella professione anche un impegno civile e sociale (sovente anche politico), che ha prodotto una visione lungimirante della sanità come elemento fondante della salute collettiva.

Oggi viviamo l’età di una crescente rivoluzione tecnologica (genetica e biotecnologie, informatica e intelligenza artificiale) che in medicina ha portato a un grande sviluppo tecnico-scientifico con ricadute vantaggiose contribuendo in larga misura a un progresso misurabile in termini di maggiore quantità e migliore qualità di vita per l’uomo. Ma, come ricorda Cosmacini citando Norberto Bobbio, «mentre il progresso tecnico-scientifico non cessa di suscitare la nostra meraviglia e il nostro entusiasmo, sul tema del progresso morale continuiamo a interrogarci come duemila anni fa». Ecco perché, riguardo ai temi dell’esistenza e della salute dell’uomo, la medicina ha bisogno di dialogare costantemente con la filosofia, per confrontare le sue teorie e le sue pratiche per la salute con un sapere che può indicare i valori verso cui indirizzarle. Una dimensione che viene prima dei tanti – pur importanti – problemi riguardanti l’attuale crisi della medicina e della sanità: da quelli economici a quelli strutturali, dal venire meno di una visione universalistica della salute alla perdita di smalto del servizio pubblico. Una crisi che investe i “valori fondanti” della medicina, su cui Cosmacini invita in più occasioni a riflettere. Lo fa rifacendosi anche alla sua personale storia professionale. L’autore ha esercitato il “mestiere” per oltre sessant’anni, nel corso dei quali è stato medico di famiglia, primario ospedaliero e docente universitario. Oltre a quella in Medicina (Pavia 1954) poi ha anche una laurea in Filosofia (Milano, 1977) e il suo “doppio sapere” gli conferisce una particolare autorevolezza culturale.

Nel libro emergono anche con chiarezza quelli che per l’autore devono essere i criteri ispiratori di una “nuova storia” della medicina: non più e solo tecnica, limitatamente autoreferenziale, ma estesa agli elementi economici, sociali e politici che caratterizzano la sanità nel suo progressivo sviluppo evolutivo. È proprio utilizzando questo tipo di analisi che si possono comprendere anche i pregiudizi e le paure legate alla malattia, condizioni ricorrenti nella storia dell’umanità ed esperienze ancora purtroppo attuali oggi. Soprattutto quando la vita delle persone viene sconvolta da contagi ed epidemie, com’erano le “pestilenze” del passato (peste, colera), le malattie ricorrenti del secolo scorso (sifilide e tubercolosi) e le più recenti pandemie (la Spagnola di inizio Novecento, il Covid-19 di pochi anni fa).

Le prospettive aperte dalla bioetica, la socializzazione della medicina e la medicalizzazione della società, le variabili sanitarie della crescente globalizzazione e gli aspetti medici di una società multietnica, i problemi legati alla carente prevenzione e al riemergere delle infezioni, l’esigenza di affiancare la “medicina personalizzata” delle biotecnologie con una “medicina narrativa” del vissuto patologico portano Giorgio Cosmacini a illustrare, con i saggi riuniti in questo libro, come attraverso l’intersezione tra sanità e storia, tra scienza e umanesimo, tra medicina e filosofia, sia possibile ancora oggi trovare nel “medico-filosofo” il prerequisito fondamentale del buon curante: possedere una “religiosità laica”, in grado di trasformare l’avere potere nell’avere cura, per poter essere sempre veri protagonisti nel campo della difesa della salute.

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