Un momento delle prove dell’opera “Boris Godunov” di Modest Musorgskij che aprirà il 7 dicembre la stagione scaligera
«Con Boris non facciamo propaganda per Vladimir Putin, ma mettiamo in scena un capolavoro della storia della musica e dell’arte». Il sovrintendente Dominique Meyer non cita espressamente il console ucraino a Milano Adrii Kartysh che nei giorni scorsi aveva chiesto a lui e al sindaco Beppe Sala di non inaugurare la nuova stagione del Teatro alla Scala con il Boris Godunov di Modest Musorgskij «per non assecondare eventuali elementi propagandistici russi».
Ma risponde a lui e a tutti quelli che, dopo l’attacco di Mosca a Kiev, vorrebbero mettere al bando la cultura russa. «Non mi nascondo quando leggo Puškin o Dostoevskij, perché leggendo queste pagine o ascoltando Cajkovskij non faccio nulla contro l’Ucraina» sottolinea Meyer presentando il Boris Godunov che il prossimo 7 dicembre inaugurerà la nuova stagione del Piermarini. Sul podio Riccardo Chailly, che ha messo sul leggio la prima versione dell’opera, il cosiddetto ur-Boris del 1869, pagina allora rifiutata dal teatro di San Pietroburgo «perché troppo moderna, troppo nuova per essere capita e accettata per via del tema del potere, della colpa, ma soprattutto per la scrittura musicale dato che Musorgskij aveva un’idea novecentesca della partitura, molto avanti per il suo tempo» spiega il direttore musicale scaligero. In regia Ksper Holten che con il suo spettacolo vuole raccontare «le vittime innocenti di uomini che esercitano il potere con cinismo. E sono gli stessi ieri e oggi, perché la storia si ripete ciclicamente. E così le violenze e i soprusi».
Nessun riferimento esplicito a Putin e all’attacco all’Ucraina, ma l’idea del regista danese non può non far pensare al nostro presente. Tanto più che il Boris di Musorkgsji «non fa l’apologia di un regime, anzi, critica ferocemente il potere. Basta leggere il libretto per capirlo e ragionare con il cervello e non con la pancia, risparmiando polemiche un po’ superficiali» avverte Meyer ricordando che «il progetto per questo Boris è nato tre anni fa, quando ancora Mosca non aveva attaccato Kiev, e il titolo è stato annunciato in primavera, alla conferenza stampa della nuova stagione. Sarebbe impossibile cancellarlo ora». Ma poi perché farlo?. «Quando è scoppiata la guerra ci siamo chiesti se era giusto continuare con il nostro progetto. E la risposta è stata sì, perché Musorgskij ha smascherato il potere e perché il mondo in momenti come questo ha bisogno di più arte» spiega il regista ricordando che « Boris è un’opera speciale, unica. E lo era anche al tempo di Musorgskij che volle fare un’opera rivoluzionaria, senza intreccio sentimentale, che parla di potere e cinismo».
Opera tratta da un dramma di Puškin che «scrivendo il suo Boris voleva fare qualcosa nello stile di Shakespeare. E questo è stato il mio punto di partenza, tanto più che è singolare il fatto che lo zar e Shakespeare abbiano vissuto nella stessa epoca. Boris mi ricorda personaggi come Riccardo III o Macbeth. E quello che è intimamente shakespeariano è il fatto che Boris si staglia da solo su una complessità di personaggi molto ricca». Shakespeare anche nei fantasmi che popolano la regia di Holten. «Il fantasma dello zarevic Dmitrij che torna a tormentare Boris, i fantasmi delle vittime dell’uomo di potere che sono i fantasmi del passato e del futuro, i figli di Boris che incontreranno lo stesso destino dello zarevic. Un ciclo di potere e di violenza che si ripete con un senso di inevitabilità a dire che la storia è ciclica e periodicamente ritorna» riflette il regista. Boris racconta la manipolazione del popolo da parte di chi ha il potere. Ecco allora in scena una grande pergamena il libro della storia (l’ha disegnata Es Devlin) sul quale si scrivono i fatti, «come fa Pimen, il monaco che vuole fare la cronaca di quello che succede e vuole fare la cronaca realistica della storia russa andando così a spezzare lo strumento della manipolazione del popolo da parte del potere». Pimen che per Holten rappresenta i giornalisti che oggi lottano per la libertà di parola. Ieri e oggi.
«Un paese tormentato dalle tensioni dell’epoca storica dei Torbidi quello del libretto. Un passato che è già futuro, perché la storia è destinata a ripetersi. Per questo i costumi di Ida Marie Ellekilde faranno convivere insieme più epoche, il 1598 in cui si svolgono le vicende, l’Ottocento in cui l’opera venne composta e il nostro presente » dice ancora Holten. E tutta improntata sul nostro presente è l’interpretazione che annuncia Chailly.
«Occorre leggere le grande pagina di Musorgskij con il gusto di oggi per sottolinearne la grande modernità» riflette il direttore milanese spiegando poi che «per pensare a questo Boris occorre ripartire da Attila di Verdi che ha inaugurato la stagione 2018/2019, protagonista, allora come oggi, era Ildar Abdarazakov, che mi portò a conoscenza della nuova edizione critica della prima versione del 1869. Decisi di affrontarla e non potevo pensare di affrontare un progetto simile senza Ildar, con il quale ci conosciamo e lavoriamo insieme da vent’anni». Un grande impegno per l’orchestra, per il coro alle prese con la lingua russa e per il cast «formidabile non solo per la bravura, che ci si aspetta sempre dalla Scala e tanto più su un titolo inaugurale, ma per la capacità di personalizzare i ruoli» racconta Chailly che ha voluto fortemente il titolo russo «che ho avuto modo di conoscere nel profondo come assistente di Claudio Abbado che lo diresse nel 1979 alla Scala scegliendo l’orchestrazione originale di Musorgskij e non, come era usanza, quella approntata da Rimskij-Korsakov». Versione originale che non prevederebbe intervallo. «Noi lo abbiamo introdotto dopo la quarta scena per separare due parti lontane anche temporalmente» annuncia Holten. Scelta drammaturgica, ma anche accorgimento per rendere fruibile la diretta su Rai 1, a partire dalle 17.45 del 7 dicembre, del Boris che, come sempre, prima che dalle autorità – prevista la presenza del Capo dello Stato Mattarella – e dal pubblico della Prima, sarà applaudito dai ragazzi dell’Anteprima giovani del 4 dicembre.