L'installazione “Purgatorio” di Lenz Fondazione alla Crociera dell’ex Ospedale Vecchio–Archivio di Stato di Parma - Francesco Pititto
Primo di tre ponderosi volumi dedicati alla teologia poetica di Dante, Per la selva oscura. La teologia poetica di Dante di Giulio D’Onofrio (Città Nuova, pagine 708, euro 30,00) innova secoli di interpretazioni dantesche. Non che abbia scoperto un manoscritto segreto o messo sottosopra i versi del poeta; semplicemente, da grande storico del pensiero tardoantico, patristico e medievale – a lui dobbiamo, tra i molti studi, un’approfondita Storia del pensiero medievale (2011) e la silloge Vera Philosophia (2013) – , D’Onofrio muta la visuale interpretativa sin dai primissimi versi dell’Inferno. Infatti documenta in maniera inconfutabile la dipendenza non solo espressiva ma anche significativa della “selva oscura” e della “diritta via” dal commento al libro dell’Esodo rinvenibile nella Expositio in Pentateuchum del monaco Bruno di Asti, vescovo di Segni e abate di Montecassino, testo che l’Alighieri avrebbe potuto studiare, per fare solo un esempio, nella biblioteca dello studium francescano di Santa Croce a Firenze.
In Bruno di Segni si legge: « Ego autem omnipotenti Deo gratias ago, qui me per hanc silvam obscuram satis et densa, recto, ut opinor, itinere, hucusque perduxit ». La selva oscura è la scrittura biblica per il teologo esegeta, ma verosimilmente anche per il nostro poeta teologo, al di là della prevalente lettura dei commentatori in senso morale. Come intendere infatti il verso ottavo, «ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai», riducendo la “selva oscura” a un periodo di vita segnata dal peccato? Che bene avrebbe egli trovato nel vizio? Più convincentemente, illustra con ampia erudizione D’Onofrio, il riferimento allegorico è alle difficoltà dell’intelligenza delle verità rivelate da Dio nelle Scritture. Alla sacra Bibbia stessa allude allegoricamente Dante chiamandola “pulzelletta” – nel sonetto rivolto a Messer Brunetto, non altri che lo stesso Bruno di Asti. Essa «vuol esser letta », per «pasqua a fare», ricorrendo infine alla sola vera porta per accedere alla salvezza e alla scrittura: Gesù Cristo, allegorizzato in “messer Giano”.
D’Onofrio riscontra passo a passo cruciali testi danteschi, non solo della Commedia, contestualizzandoli nelle conoscenze teologiche dell’epoca, vale a dire l’esegesi biblica, la letteratura mistica e teologico-spirituale che Dante Alighieri avrebbe potuto attingere e quali effettivamente compulsò, ricostruendone anche le fonti della metodologia ermeneutica allegorica sottesa. Si tratta di scritti e autori sovente trascurati dalla stessa storiografia teologica, si pensi, oltre a Bruno di Segni, a Publilio Porfirio Optaziano, Remigio di Auxerre, Martino di Léon e altri ancora, ma anche di quelli maggiormente noti, da Agostino, Boezio, Cassiodoro, Gregorio Magno, Isidoro di Siviglia e Rabano Mauro, a Giovanni Scoto Eriugena, Anselmo d’Aosta, Bernardo di Chiaravalle, Riccardo di San Vittore e Bonaventura da Bagnoregio, taluni espressamente presenti nella Commedia dantesca stessa.
La meritoria, lunga fatica di D’Onofrio comporta anche la possibilità di leggere sotto nuova luce la poesia teologica di Dante. Attraverso il ripercorrimento della tradizione di pensiero di cui Dante si nutre – essenzialmente il neoplatonismo cristiano – il disegno della sua poesia teologica si ravviva, mostrando nel cammino di ritorno a Dio attraverso e assieme alle realtà da Lui create la missione terrena dell’uomo, guidata dal “primo Amore”: fonte e bene ultimo dell’universo intero.