Bottega di Nicolas Karcher, "Mosè riceve le tavole della legge", arazzo (particolare) - Museo del Duomo
Esce in questi giorni per San Paolo il saggio di Massimo Giuliani Mosè nostro maestro. Interpretazioni ebraiche e letture cristiane (pagine 192, euro 18,00). Ebrei e cristiani condividono i cinque libri di Mosè, cuore della rivelazione al monte Sinai, che i primi chiamano Torà, i secondi Pentateuco. Nel corso dei secoli Mosè non ha mai smesso di ispirare esegeti e teologi di entrambe le fedi. Ma anche pensatori e autori della modernità come Buber, Freud e Thomas Mann. L’autore esplora e commenta tali diversi approcci, dando voce ai rabbini di Israele e ai teologi cristiani dei primi secoli. Pubblichiamo alcuni stralci dell’introduzione di Roberta Ascarelli.
«Ho incominciato il mio viaggio iniziatico a fianco di Mosheh in Algeria, a Aïn-Témouchent, la mia città natale »: così Nathan André Chouraqui inizia il racconto della sua formazione religiosa scegliendo Mosè come testimone e guida di una devozione profonda, aperta al dialogo tra religioni e culture: «Così – prosegue – ho incominciato a camminare con Mosheh, tenendo in mano la sua Torah, vivendo quotidianamente dei suoi comandamenti. Più che un uomo, Mosheh era per noi una presenza, una voce d’infinita saggezza, d’infinita tenerezza. Ci spalancava le porte della conoscenza […] e ci fecondava lungo i cammini delle nostre vite». Lo sente vicino per la sua grandezza, ma anche perché è un antieroe (Es 2,11-15), spesso sconfitto e deluso, un uomo umile, senz’altra legittimazione che non sia la disponibilità ad essere contenitore e mediatore della volontà di Dio. Guida il suo popolo, ma si rifiuta al ruolo di protagonista, vorrebbe approdare alla sua terra, ma l’approdo gli viene negato, conosce il rigetto da parte del faraone e della sua gente e non gli è concessa neppure una sepoltura onorevole. Eppure la sua azione segna l’inizio di un rapporto ininterrotto che illumina non solo la storia ebraica, ma anche le religioni che ne abbracciano la legge e la vicenda. Legislatore, uomo del volere e del dubitare, della fede e della storia, Mosè e la sua narrazione, tesa tra i valori eterni e le scelte umane, hanno accompagnato epoche e uomini donando la consistenza della fede e dei miti ad alcuni snodi fondamentali della modernità. Nel suo nome in Europa come in America si sono abbattuti tiranni e dominazioni e si è sviluppato per i popoli del Libro un progetto di “redenzione” che presuppone non la trasformazione miracolosa del mondo materiale ma lo sviluppo di competenze umane attraverso l’esercizio rigoroso delle leggi, della fede e della libertà. Ha avuto un ruolo fondamentale nella teologia della liberazione elaborata da comunità cattoliche in America Latina e ha suggerito interpretazioni scientifiche, artistiche o letterarie del rapporto tra uomo e Dio e tra servitù e libertà che sono state usate e variate negli anni come arma contro ogni rozza utilizzazione ideo- logica e istintuale della religione e dei miti. L’Esodo – «ricco, sfaccettato intrico di storie, dalle quali gli ebrei hanno tratto risorse per affrontare sfide intellettuali, culturali e sociali» – è stato anche il riferimento per molti eventi della storia ebraica, dalla rivolta dei Maccabei al movimento sionista, in un confronto dialettico e ancora aperto che contrappone alla prospettiva politica del ritorno la prospettiva messianica del compimento. Scrive il rabbino Samson Raphael Hirsch nella sua cauta apertura alla modernità, che l’uscita di Israele dall’Egitto e il dono della Torà al Sinai sono, al di là della verifica storica, «fatti irrefutabili che devono servire da punti di partenza per ogni altra conoscenza, che godrà dello stesso grado di certezza con cui viviamo le nostre esistenze e quella del mondo materiale». La vicenda dell’Esodo e il sionismo politico si intrecciano nel pensiero di Herzl e dei suoi seguaci, con proiezioni ricche di promesse e di efficacia. Il “fondatore”, che non vuole essere un messia ma un leader politico, attinge a piene mani nei suoi scritti – quelli realizzati e quelli progettati – e nei suoi colloqui al testo biblico, lasciando che influenti e colti rabbini – esemplare il rabbino capo di Vienna Moritz Güdemann che molto lo ha sostenuto – e semplici fedeli lo considerino un Mosè redivivo. Con piacere Herzl ricorda un suo sogno infantile: «A dodici anni – narrava – il “Re-Messia” mi apparve in sogno e mi prese in braccio e mi portò in cielo volando. Su una nuvola iridescente incontrammo Mosè (il suo aspetto era simile a quello della statua di Michelangelo. Da piccolo adoravo… quel ritratto di marmo). Il Messia chiamò Mosè ad alta voce e disse: “Per questo bambino ho pregato!”. A me disse: “Vai e annuncia agli Ebrei che presto verrò e che compirò grandi e mirabili azioni per il mio popolo e per tutta l’umanità”». Con riferimenti anche a un’immaginaria figura di Mosè si fa raffigurare in un orientaleggiante ed eclettico gusto jugendstil da Ephraim Moses Lilien, che lo ritrae mentre fiero e regale immagina nella notte, oltre il deserto, la perfetta società ebraica del futuro. La eterna contemporaneità di Mosè, affermata in Es 19,4 e sostenuta dalla eccezionale caratura narrativa della sua storia, viene evocata soprattutto in tempi bui. In forme diverse e in luoghi lontani, anche per Leo Baeck, rinchiuso a Theresienstadt, per l’anziano Freud nel suo discusso libro sull’Uomo Mosè e la religione monoteista e per Thomas Mann, impegnato in una serrata propaganda antinazista, Mosè è il segno indelebile di un’idealizzabile identità ebraica, contraria al dispotismo, ricca di spiritualità e di elezione, inconciliabile con ogni forma di barbarie. Ma è anche colui che suggerisce il conforto di una visione clemente del Signore come del resto aveva insegnato il Sal 90, soprattutto ai versetti 12-17. Guida, liberatore dall’Egitto, legislatore, fondatore della religione israelitica, Mosè viene considerato anche tra i cristiani l’autore del Pentateuco e l’“estensore” delle leggi divine. Nel processo ansioso e spesso spericolato delle interpretazioni, soprattutto di parte cristiana lì dove si sente tutta l’urgenza di un nuovo inizio, emerge immensa la figura di Mosè, con la sua umanissima poliedricità e la sua fede sospesa tra gesti e abbandono, tra umanità e consapevolezza del divino. Presente, vibrante, solo a tratti mitizzata, la sua persona si staglia da un confronto teologico, accademico a volte e spesso labirintico, lasciando nel lettore, che molto ha imparato da questo libro ricchissimo di sapere e di pensiero, il desiderio di condividere con il profeta una avventura religiosa ed etica che sempre si ripete e che non si risolve in un Fortschritt in der Geistigkeit, come suggeriva Freud, un progresso della spiritualità nella storia, ma in un meraviglioso ampiamento degli spazi di “azione” dell’umanità.