Medicanti di fine '500 - Alamy Stock Photo
Tra il 1638 e il 1651, Giovan Domenico Peri, uomo d’affari genovese, dava alle stampe Il Negotiante, primo trattato organico di “economia aziendale” edito in Italia (secondo Raymond de Roover, il «più importante manuale per la pratica degli affari» del tempo). L’opera includeva indicazioni concrete per la gestione dell’azienda: esempi di registrazione a partita doppia, formulari, questioni giuridiche (in particolare, relative al contratto di assicurazione). Tra le sue pagine è facile imbattersi in un paradosso. L’accettazione dei divieti ecclesiastici riguardanti il cattivo uso del denaro – a partire dal tema dell’usura («sopra gli imprestiti non è dovuto interesse di sorte alcuna»…) – era seguita dall’illustrazione di determinate tecniche finanziarie in grado di aggirarli (naturalmente, con discrezione…). Non si trattava d’una pratica inusuale. Pur dichiarando una formale adesione ai principi etico-morali della Chiesa cattolica, mercanti e finanzieri utilizzavano spesso un linguaggio ambiguo, codificato, sì da seguitare a operare senza incorrere nelle sanzioni canoniche. Tale strategia rivela un quadro complesso, fatto di astuzie e compromessi, in cui economia e morale s’intrecciano inestricabilmente, ridefinendo il rapporto tra capitale, giustizia e fede.
È da questo contesto che prende le mosse La terra del noi. Ombre e luci dell’economia della Controriforma (Il Mulino, pagine 304, euro 26,00) di Luigino Bruni, ordinario di Economia politica alla LUMSA e biblista, ch’esplora come le norme morali e i principi economici della Controriforma s’intersecassero tra loro in maniera ambigua. Il libro, anticipato dalle riflessioni sviluppate in due serie di articoli pubblicati su Avvenire tra marzo e novembre del 2023 (Contro Economia e La terra del noi), accompagna il lettore in un affascinante percorso tra i secoli dell’Età moderna, ch’egli fa coincidere, in larga parte, con la “Modernità”. Al centro, il rapporto tra individuo e comunità, variamente riformulato dall’Umanesimo, prima, dalla Riforma luterana, poi, dalla Controriforma, infine. Un concetto, quest’ultimo, da intendersi, secondo l’autore, «in un senso diverso e molto più ampio, riferendoci alla cultura o alla mentalità che si generano (o si completano) nel secolo post-Trento e che è continuata, in molti tratti essenziali, anche dopo la fine del panico collettivo cattolico generato dalla diffusione generale delle idee protestanti anche nei paesi latini». La Controriforma, insomma, sarebbe stata innanzitutto «una mentalità, una cultura, una civiltà, una forma di vita collettiva, una postura morale della Chiesa cattolica verso la modernità, e in quanto tale è arrivata compatta e quasi integra alla vigilia del concilio Vaticano II – e per alcuni aspetti non così secondari continua ad operare nella società italiana». È a partire da tale definizione che Bruni esamina le trasformazioni profonde che la “prima” Controriforma impose alla visione dell’economia e della comunità. Questi analizza il passaggio da un’economia di stampo comunitario, legata agli assetti degli ultimi secoli del Medioevo, a una succube d’un individualismo crescente. Una trasformazione in atto nel mondo laicale, prima ancora che in quello ecclesiastico; per nulla da riconnettersi a un – diciamolo – inesistente “spirito del capitalismo” (inesistente, giacché costruito archetipicamente: ce lo dice lo stesso Weber, del resto), emergente già nei secoli precedenti, con tutte le specificazioni del caso. Non che la Chiesa post-tridentina rinunciasse a recuperare quella socialità ritenuta “tipica” di quel mondo (va detto: in fondo, anch’essa un’astrazione). Il disciplinamento della società, inaspritosi in reazione alle posizioni protestanti, avrebbe spinto, tuttavia, verso l’imposizione progressiva di un controllo morale e sociale capillare.
Secondo Bruni, sul lungo periodo, tale volontà non avrebbe fatto altro che generare «un grande spreco di talenti, una mortificazione e una frustrazione di molte persone che non sono state messe nella condizione di poter fiorire nella loro creatività libera, a causa del bisogno assoluto, a tratti nevrotico, delle istituzioni ecclesiastiche di controllare le coscienze, l’anima e il corpo dei fedeli».
Ci troviamo dinanzi, insomma, a molteplici zone d’ombra, cui fanno da contrappunto, però, veri e propri sprazzi di luce. Analizzando il ruolo dei manuali per confessori, strumenti essenziali per orientare le coscienze, l’autore evidenzia l’intento di regolare l’attività finanziaria promuovendo un’economia capace di rispondere ai bisogni della collettività. L’istituzione dei Monti di Pietà e dei Monti Frumentari, ad esempio, incarna un modello di economia solidale duraturo, in netto contrasto con la logica di accumulazione del capitale privato. Promuovendo il mutuo aiuto, contrapposto al crescente individualismo, la Chiesa sosteneva un’economia tesa a preservare la dimensione sociale e spirituale a vantaggio di quella materiale. Certo, l’atteggiamento moralistico ottenne, spesso, l’effetto contrario. Non si può dubitare, tuttavia – questa, una delle tesi del libro – del «tentativo di salvare la comunità̀, di reagire all’uscita dell’individuo dai legami gerarchici, ineguali, illiberali e quindi alla fine neanche fraterni, tantomeno sororali. La Chiesa cattolica cercò̀ di tenere viva una terra del noi, un orizzonte relazionale e di senso dove la religio fosse anche un legame tra le persone, le famiglie, le comunità». È così, dunque, che l’autore coglie nella Controriforma, al netto delle molte ombre, il sorgere d’un sistema economico – d’una “Economia civile” – capace di conciliare la crescita con il benessere sociale. Una prospettiva in grado di opporsi alla logica del profitto individuale, finalizzata a riscoprire la felicità pubblica come obiettivo comune. Si può dire, pertanto, che La terra del noi riveli aspetti inusitati di un periodo solitamente stigmatizzato per il proprio carattere repressivo, invitando, altresì, a riflettere sul mondo attuale e sulla possibilità di un’economia promotrice del bene comune, capace di abbracciare la solidarietà e la responsabilità sociale.