sabato 19 ottobre 2024
l libro del giornalista, bestseller di queste settimane, è una sorta di commento e riassunto di alcuni libri biblici (pochissimi i riferimenti a Gesù). Senza banalizzazioni
I Dieci Comandamenti in un dipinto di Rembrandt

I Dieci Comandamenti in un dipinto di Rembrandt

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È innegabile che la Bibbia stia tornando di moda tra gli intellettuali italiani. E questa è di per sé una bella notizia, dopo secoli nei quali, soprattutto nei paesi cattolici, la Bibbia era faccenda per chierici, e di Bibbia dovevano e potevano occuparsi soltanto gli uomini religiosi. Il clericalismo, religioso e ateo, ha tenuto molto distanti Bibbia e cultura. Il libro di Aldo Cazzullo Il Dio dei nostri padri (HarperCollins, pagine 336, euro 19,50) si inserisce in questo nuovo dialogo. Il giudizio sull’operazione all’origine di questo è invece più complesso, e non del tutto positivo, sebbene nel libro ci siano anche delle belle pagine, quelle autobiografiche o i collegamenti con la letteratura e l’attualità, dove l’autore salta sul palcoscenico biblico e dice la sua, ed è in genere interessante.

Il libro è una sorta di commento e riassunto di alcuni libri biblici dell’Antico Testamento - come se il Nuovo non fosse parte della fede dei suoi e dei “nostri padri”: i riferimenti a Gesù si trovano, qua e là, come profezia e annuncio di Isaia o Ezechiele. Qualcosa di simile ai film biblici del secolo scorso che in un paio d’ore raccontavano la storia che da Adamo arriva a Mosè. Operazione molto complicate per la Bibbia, un insieme di testi che gli studi degli ultimi cinque secoli ci hanno mostrato estremamente complicati. Scrivere una storia romanzata della Bibbia non è molto diverso, in quanto a complessità, da un libro sulla storia della fisica dal Big bang alla materia oscura, che nessun giornalista oggi tenterebbe senza avere almeno una laurea o un dottorato in fisica.

Comunque questo libro non banalizza la Bibbia, la prende abbastanza sul serio, le intenzioni dell’autore sono buone, e gli errori sono pochi (all’inizio della lettura me ne aspettavo molti, sono stato smentito). Nel Prologo, Cazzullo così scrive: «La Bibbia mi è apparsa innanzitutto un capolavoro letterario, una grande storia, un formidabile romanzo. Con un solo, vero, grande protagonista: Dio. È sempre Dio che crea, decide, parla, agisce. Gli uomini, anche i più grandi, anche Abramo, Noè, Mosè, Davide, ruotano attorno a lui, esistono perché esiste lui. Se lo seguono, prosperano; se lo ignorano, muoiono. La Bibbia è l’autobiografia di Dio».

Si potrebbe scrivere un lungo saggio commentando e problematizzando solo queste frasi. La tesi condivisibile è la prima, perché la Bibbia è certamente un “capolavoro letterario”, o meglio contiene molte pagine narrativamente eccellenti, da inserire nella grande letteratura, sebbene convivano con molte altre pagine meno interessanti dal punto di vista letterario. Che poi la Bibbia sia un romanzo è invece molto discutibile; perché, da una parte, il romanzo è genere letterario moderno, e perché la Bibbia è una raccolta di libri troppo diversi tra di loro per trattarla come un romanzo - la natura di romanzo è comunque salvata nel libro dall’assenza di note, tipica dei romanzi, ma poco utile al lettore di questo libro. Cazzullo ha operato una sua selezione dei libri biblici, scegliendo essenzialmente quelli storici, e quindi ha buon gioco nel rintracciare trame, personaggi, tragedie, svolte narrative; ma se avesse considerato anche la metà dei libri che ha scelto di non commentare, il “romanzo” sarebbe esploso - e in parte già esplode anche con i soli testi da lui selezionati, perché inserire le sue poche pagine su Qoelet o su Ezechiele all’interno del romanzo è operazione quasi disperata.

Che poi Dio sia «il solo grande protagonista della Bibbia», un protagonismo condiviso con il “coprotagonista” Mosè, è molto discutibile, per non dire sbagliato. Innanzitutto Mosè dopo il Pentateuco esce quasi del tutto dalla Bibbia. Poi perché la Bibbia è essenzialmente parola di uomini (e forse di qualche donna), dove si parla moltissimo di cose umane, e qualche volta di Dio. Anche i profeti, i “virgolettati” di Dio, parlano soprattutto di umanità, di economia, di giustizia, di povertà, di ricchezza, di amore e di dolore: ne parlano in nome di Dio, ma parlano di noi. Gli stessi Salmi sono preghiere tutte umane, anche quando sono rivolte a Dio, che è il destinatario, non il mittente, di moltissime parole bibliche. Tanto che ci sono libri biblici fondamentali (Qoelet, Rut, Ester, Cantico) dove Dio-Elohim-YHWH quasi non compare. Il Dio biblico, come affermava Hölderlin, è come l’oceano che forma i continenti ritirandosi, è il primo a non occupare spazi e ad attivare processi. Se la Bibbia, poi, fosse davvero “l’autobiografia di Dio” sarebbe davvero troppo poco. Lo sarebbe per Dio, che è eccedente rispetto alla Bibbia (la sua biografia si scrive da milioni di anni, tutti i giorni), e lo sarebbe per noi uomini e donne, che avremmo poco da imparare sul piano etico e antropologico se la Bibbia fosse solo una faccenda di Dio.

Quindi ben vengano libri sulla Bibbia, anche divulgativi, in un mondo che sta perdendo contatto con le radici e con la fede dei nostri padri. Forse la parte più bella di questo libro è il Prologo, dove Cazzullo rivela le ragioni personali che lo hanno spunto a scrivere questo “romanzo” (il rapporto con suo padre morente), e dove si trova questa felice frase: «Le pagine della Bibbia non sono soltanto le fondamenta della nostra fede; sono l’origine della nostra cultura. Chi vuole risalire alle radici dell’identità italiana, cristiana, occidentale, prima o poi arriva alla Bibbia. E da lì deve cominciare».

Infine, una nota personale. Cazzullo, all’inizio, onestamente confessa di essere agnostico, e poi aggiunge: «mentirei se dicessi che la lettura della Bibbia mi ha avvicinato alla fede», perché le generazioni dei suoi nonni e di suo padre sono state le «ultime generazioni convinte di vivere sotto l’occhio di Dio». Si può essere atei o agnostici ed essere ottimi esegeti, storici, filologi e offrire contributi scientifici agli studi e all’interpretazione biblica. Ma per scrivere un commento alla Bibbia, che non voglia essere soltanto esercizio retorico, occorre lasciare almeno uno spiraglio aperto al mistero, credere che, al di là dei nostri dubbi, quella Voce che nella Bibbia ha parlato ai padri, alle madri e ai profeti, non era tutto e solo auto-inganno, e che quindi la fede dei nostri padri poggiasse su qualcosa di più vero di false consolazioni in buona fede. Altrimenti si arriva alla fine del libro e scopriamo che le pagine lette ci hanno donato informazioni e utili conoscenze, ma non ci hanno generato l’unico desiderio che la Bibbia dovrebbe donarci: il desiderio di tornare a vedere Dio, o almeno sognarlo.

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