Moretto da Brescia, «Cristo fra gli animali» (c. 1515-20. New York, Metropolitan Museum of Art»)
«Il lupo dimorerà insieme all’agnello, il leopardo si sdraierà accanto al capretto, il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà. La vacca e l’orsa pascoleranno insieme... Il lattante si sdraierà sulla buca dell’aspide...». Chi non ricorda questa profezia di Isaia (11,6-8) in cui compaiono uno dopo l’altro così tanti animali per descrivere come sarà rivoluzionato il mondo con l’avvento del Messia, re della pace? Quel che pochi sanno è che la Bibbia è nei fatti il libro sacro in cui vengono citati il maggior numero di animali: 3.594 volte in 161 diverse accezioni (singole specie o nomi collettivi come branco o gregge).
Una frequenza così imponente che sembra voler sottolineare la relazione di interdipendenza che lega l’uomo alla creazione e l’importanza che Dio dà a ogni essere vivente. E se si prova a seguire il lungo filo che, attraverso Antico e Nuovo Testamento, si dipana intorno alle varie specie di animali, non si può non cogliere una sottile pedagogia che fa degli animali dei simboli, quando buoni quando cattivi (la Bibbia invita al rispetto, ma è esente da ogni forma di animalismo), per fornire all’uomo sempre nuove opportunità di comprensione del disegno di Dio.
Intanto, a parte il serpente tentatore, il primo animale con un nome specifico che compare nelle Sacre Scritture è il corvo. Accade in Genesi 8,6 nel famoso episodio in cui Noè, cercando di capire se le acque del diluvio avessero abbandonato la terra, fa uscire più volte il volatile fino a quando non torna più, avendo trovato un luogo dove appoggiarsi. Poi, Noè fa uscire una colomba, il secondo animale indicato col proprio nome, e questa gli ritorna con un ramo d’ulivo.
Da quel momento in poi c’è una forte disparità di citazioni: la colomba compare altre 43 volte e il corvo solo dieci e spesso con accezioni negative. Eppure sono i corvi a essere designati da Dio per portare cibo a Elia nel deserto (1Re 17,4-6). Neri come il corvo sono i capelli dell’amato nel Cantico dei Cantici (5,11) mentre l’amata è indicata come «mia colomba » (5,2). Lo stesso Gesù in Luca (12,24) parla dei corvi, che «non seminano e non mietono», come segno della provvidenza di Dio.
Sul filo di questa pedagogia capita che il primo quadrupede ad avere un nome nella Bibbia sia l’asino. Succede in Genesi 12,16 quando Abram, grazie a Sara, riceve dal faraone «greggi, armenti e asini». Da quel momento l’asino viene nominato altre 150 volte, più altre 12 come asino selvatico od onagro, posizionandosi ai primissimi posti fra gli animali più nominati, quale fedele compagno di lavoro dell’uomo, che deve essere fatto riposare nel settimo giorno (Es 23,12) e non deve mai essere sfruttato oltre il dovuto (Es 23,4-5).
Non solo, in Numeri 22,21-33, l’asino di Balaam individua ben prima del suo padrone la presenza dell’Angelo di Dio sulla strada. Giuseppe colloca sull’asino Maria e il piccolo Gesù nella fuga in Egitto; Gesù lo cavalca nell’ingresso trionfale a Gerusalemme. Qualche secolo dopo sant’Ambrogio vede nell’asino il simbolo dell’uomo umile che offre se stesso per portare Cristo nel mondo e san Francesco lo mette nel presepe accanto al piccolo Gesù, consacrando definitivamente il suo ruolo nell’immaginario cristiano.
Una pedagogia che emerge in tutta la sua limpidezza scorrendo le pagine di questo manuale da qualche settimana in libreria per Effatà: Gli animali della Bibbia. Citazioni dalle Sacre Scritture, santi e curiosità ( pagine 336, euro 15). E quando ci si imbatte nel numero che indica le citazioni dell’animale più nominato, la pecora, si comprende davvero che ci si trova di fronte a una vera e propria strada dell’umiltà. Sommando infatti i 179 richiami all’agnello, i 169 alla pecora, i 39 al montone e i 117 all’ariete si ottiene la ragguardevole cifra di 504 citazioni alle quali si possono agevolmente sommare le 187 per la parola gregge, un’unica citazione della parola ovino e, per analogia nel ruolo, le 159 della capra. Il numero totale è 851 e ben indica l’importanza (economica, valoriale, spirituale e simbolica) che questo animale ha nel messaggio biblico se solo si pensa che una parola fondamentale come Gerusalemme compare 944 volte.
Del resto, come si legge in Isaia 40,11 Dio «come pastore fa pascolare il gregge e col suo braccio lo raduna, porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri»; ma anche «separerà le pecore dalle capre e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sua sinistra» (Mt 25,33).
In questa logica sembrano stridere le 183 volte in cui si nomina il cavallo. Animale associato alla potenza e alla regalità. «Salomone possedeva 40 mila stalle per i cavalli dei suoi carri e 12 mila cavalli da sella» (1Re 5,6). Il profeta Elia sale al cielo in un carro di fuoco trainato da «cavalli di fuoco» (2Re 2,11). Nei fatti però l’intera Scrittura porta a considerare queste ricchezze come generatrici di superbia (Gdt 9,7) e questa potenza come inutile di fronte a Dio che guida il suo popolo davanti agli egiziani (Es 14,23-28). Così nel Salmo 33 si legge: «Un’illusione è il cavallo per la vittoria e neppure un grande esercito può dare salvezza». E nell’Apocalisse (19,11-18) «un angelo nell’alto del cielo gridava a gran voce a tutti gli uccelli che volano: "venite, radunatevi al grande banchetto di Dio. Mangiate le carni dei re, le carni dei comandanti, le carni degli eroi, le carni dei cavalli e dei cavalieri"».
Sorte più o meno analoga capita al leone, «il più forte degli animali» (Pr 30,29) che viene citato 165 volte (primo fra gli animali selvaggi), ma solo 9 nel Nuovo Testamento e sempre con accezioni negative come in 1Pt 5,8: «Siate sobri, vegliate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare o in Ap 13,2: «La bestia che io vidi era simile a una pantera con le zampe come quelle di un orso e la bocca come quella di un leone».
Poi ci sono gli animali fantastici come il leviatano, citato 6 volte, il drago (28), la chimera (2). Sempre sulla strada dell’umiltà si colloca il pellicano (2). La Bibbia lo cita fra gli animali obbrobriosi che non possono essere mangiati (non kashér), ma nel medioevo, in ambito cristiano, in seguito a un’osservazione sbagliata dei suoi comportamenti, diventa segno di Cristo e del suo donare il sangue per la vita degli uomini. Così, per fare due esempi, è oggi l’unico simbolo cristiano rimasto nel Cenacolo a Gerusalemme, su un capitello d’epoca crociata, mentre Dante lo cita nel XXV canto del Paradiso parlando di san Giovanni apostolo come di «colui che giacque sopra il petto del nostro Pellicano».
Infine il pesce. Si incontra 74 volte, sempre nella sua accezione generica, sebbene gli ebrei distinguessero varie specie di pesci: umile fra le bestie più umili. Nei Vangeli, con 28 citazioni, è l’animale più nominato dopo la pecora, protagonista di pagine fondamentali come le moltiplicazioni dei pani e dei pesci, la moneta nella bocca del pesce (Mt 17,27), la pesca miracolosa (Lc 5,5-6), Gesù risorto che arrostisce pesci sulla spiaggia per i suoi discepoli (Gv 21,413). E così come Pietro e i suoi diventano pescatori di uomini, fin dai primi secoli l’iconografia fa del pesce il simbolo di Cristo (catacombe) in sintonia con la parola che lo indica in greco (in lettere latine ichthys), che diventa l’acronimo di Gesù Cristo Figlio di Dio, Salvatore.