venerdì 24 luglio 2020
Tra le più eminenti figure di storico e critico d'arte in campo internazionale, è morto a Roma questa mattina a Roma all'età di 92 anni
Maurizio Calvesi

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Maurizio Calvesi, uno dei più grandi storici dell’arte italiani e internazionali, Accademico dei Lincei, vincitore del Premio Balzan 2008, è scomparso questa mattina all’età di novantadue anni dopo una breve malattia. Nato a Roma nel 1927, Calvesi è stato il creatore di pionieristiche metodologie di ricerca e l’autore di contributi fortemente innovativi, grazie anche a una visione multidisciplinare della storia dell’arte che ha saputo fondere riferimenti diversi e articolati. Condensare l’immenso lavoro di Calvesi è quasi impossibile, vista l’oceanica quantità dei suoi scritti e la vastità dei suoi interessi di storico dell’arte e di critico militante: due attività che ha saputo unire in un modo quasi irripetibile. Il percorso di Calvesi è stato segnato in modo “fatale” già in giovanissima età, quando da bambino conobbe Giacomo Balla (che abitava nel suo palazzo romano) e Filippo Tommaso Marinetti che lo invitò, quando era ancora adolescente, a far parte del gruppo “Aeropoeti Sant’Elia”, aprendogli la strada verso il Futurismo, di cui è stato uno dei primissimi e maggiori studiosi. Calvesi ha infatti saputo unire l’interesse per l’arte del Rinascimento, del Barocco e del Settecento, a quello per l’arte del Novecento, da Boccioni a de Chirico, e per l’arte delle ultime generazioni. Questa posizione davvero unica e pionieristica ha così legato il lavoro dello studioso all’azione critica sul campo, rendendolo sostenitore di moltissimi artisti, tra cui Burri, della cui Fondazione è stato a lungo presidente, ma anche di Schifano, Pascali, Ceroli, della Pop Art internazionale e di tutta la Scuola di Piazza del Popolo, fino a Guttuso, agli esponenti del Ritorno alla Pittura e oltre, in un’attenzione per l’arte contemporanea che lo ha anche portato a curare le edizioni della Biennale di Venezia-Arti Visive del 1984 e del 1986.

Calvesi ha percorso la storia dell’arte con uno sguardo libero, innovativo e aperto anche all’errore, una posizione che egli stesso contemplava e riconosceva nella sua rigorosa onestà intellettuale, ma che era una condizione necessaria per chi dissodava territori inesplorati e apriva sentieri nuovi, accompagnando intere generazioni di allievi nel suo lungo magistero di professore universitario, condotto con amore e dedizione a Palermo prima e a La Sapienza di Roma poi. Le influenze che Calvesi riconosceva nel suo lavoro sono state molte, da quelle dei suoi maestri Lionello Venturi e Giulio Carlo Argan, fino a quella di Cesare Brandi, di Cesare Gnudi e, in particolare, di Francesco Arcangeli, con cui ha collaborato nella sua esperienza nella Soprintendenza di Bologna e che gli ha permesso di contaminare le sue posizioni teoriche con la lettura formale delle opere d’arte di matrice longhiana. Calvesi, con Eugenio Battisti, è stato anche uno dei primissimi studiosi a dirigersi sul versante dell’iconologia, trasformando questa disciplina grazie anche a una posizione che contemperava gli obbligatori riferimenti al grande padre Erwin Panofksy con quelli agli studi sull’ermetismo di Eugenio Garin e quelli all’episteme di Michel Foucault, in una visione esegetica in cui il principio della “somiglianza” delineato dallo stesso Foucault, poneva le basi teoretiche per un nuovo approccio alla conoscenza del mondo rinascimentale. Partendo da questi presupposti, Calvesi ha scritto una lunghissima e approfondita serie di studi e di volumi fondamentali: tra i tanti si ricordano quelli su Beato Angelico, Piero della Francesca, Giorgione, Michelangelo, su La Cappella Sistina e la sua decorazione da Perugino a Michelangelo, su la Hypnerotomachia Poliphili, su Caravaggio e su Piranesi. In tutti questi contributi lo studioso ha portato elementi innovativi e spesso considerati quasi “eretici” da chi restava abbarbicato su vecchie posizioni di sterile formalismo o anche a una visione dell’iconologia unicamente ancorata ai dettami, basilari ma non univoci, del neoplatonismo.

Non a caso Calvesi ha saputo incentrare la sua lettura degli affreschi della Cappella Sistina sugli scritti di sant’Agostino e di altri Padri della Chiesa, chiarendo i nessi e le simbologie che legano le diverse scene. Calvesi, in questo contesto, ha anche rivoluzionato gli studi su Caravaggio, mettendo in crisi lo stereotipo del “pittore maledetto” e chiarendo la vicinanza dell’artista alla spiritualità pauperistica dei Borromeo e degli Oratoriani, scoprendo il lungo e drammatico percorso della sua “ricerca della salvazione” nella lotta dipinta tra le tenebre del peccato e la luce della Grazia. Un altro filone di studi calvesiani è quello legato all’alchimia, culminato nel suo saggio A Noir (Melencolia I), pubblicato nel primo numero della rivista Storia dell’Arte nel 1969: un caposaldo degli studi iconologici che interpreta la famosa incisione di Albrecht Dürer in chiave alchemica. È interessante notare come, nel suo intreccio di interessi legati a questa linea di ricerca, Calvesi abbia avuto straordinarie collaborazioni con Fabio Sargentini e la sua galleria L’Attico, ad esempio in mostre come Fuoco Immagine Acqua Terra, 1967 (antesignana dell’Arte Povera) e anche con diversi protagonisti dell’arte contemporanea tra anni Sessanta e Settanta.

Queste ricerche sono giunte poi all’importante libro Duchamp invisibile del 1975 (ripubblicato in edizione ampliata nel 2016), una lettura alchemica dell’opera di Duchamp fondata su una vasta e rigorosa serie di riferimenti; nella visione “alchimistica” della nuova pittura degli anni Ottanta, anche nella sua relazione con de Chirico; fino alla segreta melanconia ermetica di un volume di poesie pubblicato nel 2011. Questi versi rivelano il lato intimo di in un lungo viaggio di ricerca in cui gli strumenti dello studioso si trasformano infine nelle parole dello scrittore e in cui il giovane poeta e il grande storico dell’arte si ritrovano insieme di fronte all’enigma supremo al quale le arti cercano spesso di dare senso, penetrando gli opachi meandri degli arcani, nel dedalo tenebroso di un’opera al nero dipanata alla ricerca della luce.

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