Antonio Albanese in una scena del film "Cento domeniche"
Rispetto e dignità, fiducia tradita, vergogna e isolamento, solidarietà e disperazione. Sono questi i grandi temi intorno ai quali ruota il nuovo film diretto e interpretato da Antonio Albanese, Cento domeniche, presentato alla Festa di Roma (sezione Grand Public, con applausi a scena aperta) e nelle sale dal 23 novembre con Vision Distribution. La storia è quella di Antonio Riva, operaio in un cantiere nautico e padre orgoglioso di una figlia che sta per sposarsi.
Tocca a lui pagare il matrimonio, così dice la tradizione, e sono anni che aspetta questo felice momento, ma quando va in banca per chiedere la disponibilità di una parte dei risparmi di una vita, scopre che a sua insaputa da risparmiatore è diventato azionista e che i suoi soldi non ci sono più. Qualcuno lo ha imbrogliato facendogli firmare carte che non ha letto con attenzione perché si fidava. Scritto con Piero Guerrera, il film è interpretato anche da Liliana Bottone, Giulia Lazzarini, Sandra Ceccarelli, Bebo Storti, Maurizio Donadoni, Elio De Capitani, Sandra Toffolatti, Marianna Folli, Martin Chishimba, Alessandro Piavani, Stefano Braschi, Nicola Rignanese, Federica Fracassi.
«Cento domeniche è un film a cui tengo davvero moltissimo – dice Albanese, non certo nuovo a ruoli drammatici con i quali, peraltro, aveva iniziato la sua carriera – perché Antonio Riva potevo essere io, che sono cresciuto in quelle zone, a Olginate, in provincia di Lecco, dove ho girato, e che continuo a frequentare gli amici di sempre, che ho 59 anni e potevo essere in prepensionamento, che ho cominciato a lavorare a quindici anni e nei successivi sette ho fatto l’operaio. Potevo essere io che sono l’unico attore al mondo ad aver girato una scena al tornio dove ha lavorato anni prima. Documentandomi sulle tante ingiustizie accadute, leggendo tanti libri, con l’aiuto di un giornalista che per anni si è occupato di questi fatti e consultando una psichiatra che ha seguito da vicino le vittime di questa truffa, si è rafforzata in me la necessità di realizzare questo film puntando sull’umanità delle persone. Agli attori ho chiesto non solo un impegno professionale, ma una partecipazione emotiva forte». Nel film si insiste sul concetto di fiducia tradita. Quella fiducia alla base di tutte le relazioni sociali. «Io mi fidavo, io faccio un altro lavoro», dice Antonio, che finisce per darsi la colpa di ciò che è accaduto.
«Il paradosso è che ci si fida di chi ha provocato quel disastro, ma non delle vittime che hanno perso tutto e che chiedono solo di riavere indietro ciò che è loro. Io non attacco il sistema bancario, ma le persone che si trasformano in criminali. Nel film parlo di gente normale che lavora, che si costruisce la casa nei giorni di riposo, in ginocchio, al freddo, facendosi aiutare da altri artigiani. Gente che ha sostenuto questo Paese, per questo mi fanno ancora più rabbia quelli che si approfittano dei più deboli».
A emergere nel film è anche la vergogna di chi si sente talmente stupido da essere caduto in una trappola infernale. «La dignità di queste persone è stata calpestata, l’orgoglio ferito. Posso raccontarvi di gente che non è uscita di casa per mesi, schiacciata da due dolori: quello di aver perso tutto e quello di essere presi per degli sprovveduti. E in un attimo ti ritrovi completamente isolato».
Continua Albanese: « Le drammatiche conseguenze di certe azioni criminali si sono allargate a macchia d’olio coinvolgendo famiglie e intere comunità ammalatesi di depressione. Per questo ho deciso di dedicare il film a persone oneste, sane, cinque milioni e mezzo di lavoratori che non sono gli ultimi come molti continuano a definirli, ma i primi perché hanno sostenuto il Paese dandosi da fare sul serio, ma sono stati isolati, abbandonati per decenni da una politica che non si gira mai dalla loro parte. Ci sono centinaia e centinaia di migliaia di persone che hanno sofferto veramente, in maniera tremenda, perdendo il sonno, ma lo hanno nascosto per non perdere la loro dignità.
La disonestà ha un effetto deflagrante sulle piccole comunità. Volevo raccontare una provincia nella maniera più onesta e vera, una provincia sana travolta però dalla malvagità altrui che continua a rimanere impunita. Amo il mio mestiere perché riesce a mostrare solitudini, ingiustizie che non tollero. Alcune scene sono state psicologicamente ed emotivamente faticose, ma non ho mai tradito la verità»