Robert Allen Zimmerman da Duluth, Minnesota, classe 1941, ha battuto la concorrenza degli scrittori più gettonati nel toto nomine, a partire dal favoritissimo kenyota Ngugi Wa Thiong’o, tallonato dal poeta siriano Adonis (ambedue con una storia di persecuzione alle spalle), fino al giapponese Haruki Murakami sino agli americani Don De Lillo, Philiph Roth e l’israeliano Amos Oz. Ci si aspettava un Nobel politico, e in effetti, a ben guardare, ha tutta l’aria di esserlo. Un Nobel al cantore della pace, del dialogo, dell’America degli ultimi va a infilarsi dritto in mezzo alla campagna elettorale per l’elezione del presidente degli Stati Uniti, una campagna dura e senza esclusione di colpi fra Donald Trump e Hillary Clinton. Bob Dylan è il primo americano a vincere il Nobel dai tempi di Toni Morrison nel 1993. Non a caso il cosiddetto «menestrello della controcultura» nel 2008 aveva conquistato il Pulitzer per «il potere poetico delle sue canzoni».
Un tipo di letteratura "orale" quella del cantautore statunitense, al pari del grammelot di Fo, fatta di versi densi ed evocativi, intonati da una voce graffiante accompagnata dall’inconfondibile armonica. A 75 anni, sempre in pista col suo Never Ending Tour, Dylan mantiene ancora vive le canzoni che hanno fatto storia. Il suo stile, fin dagli esordi ispirato alla tradizione folk di Woody Guthrie, e i suoi testi lo hanno fatto assurgere a pietra miliare della canzone degli ultimi 50 anni.Nipote da parte di padre di due emigranti dalla città ucraina di Odessa negli Stati Uniti dopo i pogrom antisemiti del 1905, Dylan emerse nei primissimi anni 60 come figura dominante del movimento folk incentrato nel Greenwich Village di New York. Ma negli anni il suo stile si è evoluto, sempre in prima linea sui diritti civili, scrivendo a partire dal 1962 brani di protesta e inni quali Masters Of War, Don't Think Twice It's All Right, A Hard Rain's A-Gonna Fall e, soprattutto, il brano pacifista Blowin' In The Wind. Il primo brano di successo in radio fu Like a Rolling Stone nel 1965 mentre Knoking’ On The Heaven’s Door è diventato un classico, reintepretato in mille modi dai tanti artisti influenzati dalla sua arte. Molti i temi sociali e le storie umane raccontate nelle sue canzoni, a partire da Hurricane, del 1975, dedicata al pugile nero Rubin "Hurricane" Carter, che era stato imprigionato per triplice omicidio a Paterson, nel New Jersey. Brani fortemente influenzati dalla letteratura e dalla storia americana, che affrontano con taglio anticonvenzionale, appellandosi alla controcultura del tempo e sfidando la musica pop, temi politici, sociali e filosofici.
Nel corso della carriera Dylan ha pubblicato 59 album, di cui 36 in studio, 13 live e una serie di 12 raccolte ricevendo vari Grammy tra il 1973 e il 2006, e il premio Oscar per la miglior canzone originale (Things Have Changed, dal film Wonder Boys) nel 2001. L’ultimo album, Fallen Angels, è uscito lo scorso maggio e raccoglie interpretazioni di brani della tradizione statunitense insieme ad altre reinterpretazioni di canzoni di Sinatra. L'Accademia svedese ricorda anche la pubblicazione di Tarantola, il suo romanzo sperimentale, di ispirazione autobiografica pubblicato nel 1971. In Italia l'ultima volta è tornato lo scorso anno in tour mentre Francesco De Gregori ha di recente pubblicato l'album De Gregori canta Bob Dylan - Amore e furto.
Ma molti ricordamo ancora quando Bob Dylan cantò davanti a papa Giovanni Paolo II il 27 settembre 1997 al Congresso Eucaristico di Bologna. Iniziò con Knockin’ on Heaven’s Door, proseguì con A hard rain’s gonna fall. Al termine dell’ultima strofa s’interruppe, salì i gradini verso il Papa, inciampando, si tolse il cappello e gli strinse la mano. Un gesto inaspettato e sincero. Wojtyla riprese le strofe di Blowin’ in the wind, e diede la sua risposta, «Io sono la via, la verità e la vita», all’interrogativo che Dylan aveva lasciato soffiare "nel vento". L'Osservatore Romano: premio alla carrieraIl Nobel per la Letteratura a Bob Dylan è "una sorta di premio alla carriera, che certamente riconosce il grandissimo talento dylaniano nella scrittura dei testi, ma che altrettanto certamente non deve avere fatto piacere agli scrittori veri, quelli che conoscono l'enorme fatica che comporta la scrittura di un romanzo". Lo sottolinea l'Osservatore Romano. "Alcune sue liriche sono bellissime, di un'intensità di cui solo i veri artisti sono capaci. Altri testi - rileva il quotidiano - riescono a pungere, destinati come erano a scuotere le coscienze assopite e così distratte da non percepire i grandi cambiamenti in atto negli anni Sessanta". Il quotidiano della Santa Sede evidenzia le qualità di Dylan: "Ha composto canzoni, con testi a volte bellissimi, in grado di influenzare intere generazioni di cantautori, molti dei quali davvero noiosi. Il suo merito maggiore, forse, va rinvenuto nella sua ferrea volontà di restare estraneo alla logica dello show business, pur rimanendo una stella di prima grandezza. Un invito a non conformarsi. E a pensare con la propria testa".