martedì 23 aprile 2013
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​"Il dibattito che si sta riaprendo, sul piano giuridico, circa la costituzionalità del divieto, previsto dalla legge 40, della fecondazione eterologa - si legge nella nota di Adriano Pessina, direttore del Centro di Ateneo di Bioetica dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano -  è viziato da una premessa inesatta, che ne condiziona gli esiti. Non si può affermare che la procreazione medicalmente assistita si configuri propriamente come una terapia della sterilità e dell’infertilità. Infatti questa tecnica ha una funzione “sostitutiva “ di una parte del processo riproduttivo, permettendo la nascita di un figlio". "Nel divieto di fecondazione eterologa - continua il professor Pessina - in realtà non è in gioco la salute riproduttiva della coppia, perché anche ricorrendo ad essa, la coppia resta infertile o sterile. Il divieto, invece, è volto a tutelare il diritto del nascituro ad essere generato dalla stessa coppia sociale che lo crescerà, impedendo così la legalizzazione della dissociazione tra le figure parentali: per avere un figlio con la fecondazione eterologa si deve infatti ricorrere ad un cosiddetto donatore - il vero genitore - il quale risulta essere estraneo alla coppia che ricorre alla tecnica". "La questione giuridica, pertanto - conclude il direttore del Centro di Ateneo di Bioetica - non può essere adeguatamente affrontata se su di essa grava l’equivoco che interpreta la procreazione medicalmente assistita come una vicenda puramente sanitaria e non si prendono in considerazione le differenti implicazioni etiche, sociali e culturali che entrano in gioco nella fecondazione omologa ed eterologa".
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