Una nuova, piccola ma importante svolta, ieri, il voto con cui la Commissione affari sociali del Consiglio d’Europa ha respinto il Rapporto De Sutter, che apriva alla cosiddetta regolamentazione internazionale dell’utero in affitto e che sembrava cosa fatta. Con un voto di scarto – 16 a 15 – ha prevalso il fronte contrario che, con lo stop definitivo al documento, ha impedito che ne seguissero iniziative politiche a favore della surrogazione nell’ambito dei 47 Paesi membri dell’organismo europeo. Va detto innanzitutto come sia gravissimo che al Consiglio d’Europa sia approdato un documento affidato a una persona in flagrante conflitto di interessi: Petra De Sutter è una deputata e ginecologa che pratica la surrogazione di maternità nella sua clinica in Belgio. È gravissimo che in un’istituzione europea un’iniziativa sull’utero in affitto sia stata affidata a una evidente 'lobbista' di questa pratica, senza che si sia attivato un meccanismo di garanzia per bloccarla. Non ci si può, poi, sorprendere per la compiacenza e l’arrendevolezza delle stesse istituzioni verso le ricche e potenti lobby internazionali dei cosiddetti 'nuovi diritti'. Il documento De Sutter, infatti, era particolarmente insidioso: pur parlando di sfruttamento di donne e bambini, le conclusioni finali sono un capolavoro di ambiguità. Tre le richieste importanti incluse nel testo bocciato ieri. La prima consisteva nel proibire la surroga solo di tipo 'for-profit' – cioè quella in cui alla gestante viene pagata una somma aggiuntiva oltre le «ragionevoli spese» sostenute durante la gravidanza – insieme a una messa in guardia contro la surrogazione tradizionale, quando cioè la madre surrogata è anche madre genetica del bambino. La seconda era per una regolamentazione «chiara, robusta e trasparente» nei Paesi in cui l’utero in affitto già si pratica. La terza richiesta – il vero obiettivo di tutta l’operazione – era invece uno strumento internazionalmente condiviso, analogo alla Convenzione internazionale sulle adozioni, che consentisse di regolare l’utero in affitto a livello globale per cercare di evitare o risolvere problemi e contenziosi dei quali sempre più spesso sono chiamati a occuparsi i tribunali di mezzo mondo. Se si escludono le opinioni di minoranze irrilevanti a favore di una esplicita liberalizzazione del commercio di parti del corpo, è proprio quella formulata dal testo De Sutter la strada maestra per l’apertura all’utero in affitto: ipotizzare la possibilità di una surroga 'altruistica', cioè con un’accezione positiva, per poterla rendere accettabile e quindi legalizzarla a livello nazionale e soprattutto globale. In nome, ovviamente, dell’«interesse del minore», per evitare discriminazioni dei bambini nati in questo modo. Ma i diritti di tutti i bambini devono essere sempre rispettati e riconosciuti, indipendentemente da come sono stati concepiti. Questo tuttavia non significa legittimare ogni condizione in cui sono stati generati: portando alle estreme conseguenze il ragionamento, non discriminare i bambini nati da stupri o da incesti è doveroso, ma non può voler dire accettare stupri e incesti come un dato inevitabile, anche se sappiamo che sempre ce ne saranno nonostante sanzioni e proibizioni. Riconoscere la validità di un contratto con cui una donna cede a terzi il bambino appena partorito significa accettare di mercanteggiare con le persone, indipendentemente dalle modalità di pagamento. E per quale altro motivo, se non economico, una donna sarebbe disposta a cedere a estranei il figlio appena partorito? E come lo potrebbe fare, se non con un contratto dettagliato fra chi offre e chi prende? E ancora: una donna incinta che si impegna a cedere a terzi il proprio bambino commette un reato, mentre una donna che si impegna a fare fecondazione assistita e a cedere il neonato con apposito contratto farebbe un 'gesto altruistico'. Perché distinguere i due casi? Se una donna vuole «donare il proprio grembo» ad altri (sic!) e il bambino che vi è cresciuto dentro, perché non può farlo sempre? Contro quella che potremmo chiamare la tratta medicalmente assistita di donne e bambini ha sicuramente pesato nel voto di ieri il movimento di opinione trasversale che vi si oppone, che in questi mesi è cresciuto soprattutto nel nostro continente, e che si è materializzato già 'dall’alto' in una pronuncia dell’Europarlamento e, ieri, 'dal basso' davanti alla sede parigina del Consiglio d’Europa, dove manifestanti di orientamenti politici, religiosi e culturali assai differenti si sono ritrovati uniti nella comune battaglia. Potrebbe essere, e ce lo auguriamo, il segno di un punto di svolta, di un nuovo inizio, di un impegno comune anche nel nostro Paese, a partire da una riflessione intellettualmente onesta e senza legacci di appartenenze politiche, per una riflessione oramai urgente sul significato di essere madri, padri e figli nel nuovo scenario del mercato e dei contratti sull’umano.