lunedì 27 maggio 2024
I primi due contagi umani da H5N1 negli Usa spingono le autorità sanitarie mondiali ad aumentare i controlli, mentre a Ginevra l'assemblea dell'Oms discute un piano pandemico globale
Verso un vaccino contro l’influenza aviaria. «Preveniamo una nuova pandemia»
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Un vaccino per prevenire la prossima pandemia. Ne stanno parlando le autorità sanitarie europee e statunitensi messe di fronte a quella che per ora è una minaccia sotto controllo ma che l’esperienza del Covid-19 insegna a monitorare con estrema attenzione: l’influenza aviaria H5N1, che negli Stati Uniti ha già contagiato 58 allevamenti e – soprattutto – due persone, dinostrando la sua capacità di effettuare il salto di specie.
Il vaccino di cui si sta parlando in ambienti scientifici e di politica sanitaria verrebbe inoculato ai lavoratori lattiero-caseari, a veterinari, a tecnici di laboratorio e in generale a tutte le persone esposte al possibile contagio. Si parla di una prima produzione di 4,8 milioni di dosi, provvedimento preventivo per evitare l’insorgere di una nuova pandemia. La prima azienda che potrebbe essere in grado di rispondere alla richiesta in tempi rapidi è l’australiana Csl Seqirus, con l’head quarter a Melbourne, leader mondiale nella produzione di vaccini anti-influenzali. Lo European Center for Disease Prevention and Control (Ecdc) cataloga il rischio pandemico da H5N1 come ancora basso ma aggiungendo di continuare a tenere la situazione sotto stretto controllo. Sono in corso anche negoziati con altre aziende in grado di produrre grandi volumi di vaccino, come GlaxoSmithKline, Pfizer e Moderna.
A preoccupare per ora è il contagio negli allevamenti americani. Appena due settimane dopo il primo, il Dipartimento Usa per l’Agricoltura ha varato un nuovo pacchetto di aiuti economici per gli allevatori di bovini e produttori lattiero-caseari che stanno fronteggiando l’emergenza. I nuovi incentivi sono ristori per le imprese agricole con il bestiame colpito dal virus, per attuare protocolli di biosicurezza, rimborsare spese veterinarie per i controlli preventivi e compensare i mancati introiti per il calo dei consumi.
Questo scenario inquietante preme sulla 77esima Assemblea delll’Organizzazione mondiale della Sanità, che dal 27 maggio riunisce a Ginevra i ministri della Salute dei 194 Paesi membri. Primo punto nell’agenda dell’assemblea è proprio la messa a punto di un nuovo Piano pandemico globale, sul quale sono in corso da due anni trattative che però per ammissione degli stessi negoziatori sono molto più indietro di quel che si sperava. Molti i punti di contrasto ancora da appianare, a cominciare da quelli contenuti in una lettera inviata al presidente americano Joe Biden da 24 governatori repubblicani, che mettono in guardia dalla possibile cessione di sovranità sanitaria all’Oms della quale si temono le iniziative a limitazione della libertà e lo scavalcamento del potere regolatorio dei singoli Stati per effetto di un piano pandemico che preveda l’attribuzione all’organismo Onu di poteri definiti di «sorveglianza globale». A queste riserve si aggiungono quelle dei Paesi che spingono per una maggiore solidarietà internazionale e per più vincoli per gli Stati ricchi rispetto a quelli che hanno meno possibilità. Se il direttore generale dell’Oms Tedros Ghebreyesus si dice fiducioso nel fatto che la volontà politica di trovare un accordo possa tradursi nella capacità di individuare un modo per farlo, restano però numerose incognite sul terreno della prevenzione mondiale di una nuova pandemia. Per ammissione dello stesso leader dell’Organizzazione, il bilancio dell’Oms si regge sui contributi degli Stati membri solo per il 17%, con la restante quota che dipende da contributi volontari, imprevedibili, con immaginabili vincoli e forniti da pochi donatori. Per questo Ghebreyesus spinge perché la quota coperta dai fondi degli Stati membri arrivi almeno al 50% del bilancio Oms: «Nessuna organizzazione – ha detto aprendo i lavori – può funzionare in modo efficace quando molti dei suoi programmi si basano su un’esistenza alla giornata». Molto severo il direttore generale dell’Oms con le disparità tuttora evidenti nell’accesso a medicinali e vaccini tra Paesi ricchi e in via di sviluppo, un fenomeno che costituisce «un fallimento morale catastrofico».

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