sabato 30 novembre 2024
Una sindrome che si diffonde e può rivelarsi devastante per sé e per gli altri. Ma che è superabile imparando a collaborare e a valorizzare le differenze attraverso uno scambio positivo e reciproco
Bassa autostima, rigidità, incapacità di confrontarsi: è il “motore” dell’invidia
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Secondo l’ultimo studio compiuto tempo fa da alcuni ricercatori dell’Universidad Carlos III di Madrid, pubblicato su “Science Advances”, il 30% della popolazione mondiale soffre di invidia. Papa Francesco ha affrontato più volte il tema di quello che “appare come uno dei vizi più antichi.” Anche gli ultimi due mesi, prima della preghiera mariana dell’Angelus, invitando a prendere come riferimento la Sacra Scrittura laddove l’odio di Caino nei confronti del fratello Abele, di cui non sopportava la felicità, si scatena al punto di ucciderlo. Invece, dice Francesco, «ci fa bene apprezzare le qualità altrui, riconoscerle senza malignità e senza invidie. L’invidia provoca amarezza dentro, perché è amara, rende la vita amara. È un veleno mortale, l’aria si fa pesante, la vita difficile, gli incontri diventano sempre più occasione di inquietudine, di tristezza. Lo sguardo dell’invidioso è basso», ha affermato il Santo Padre, «pare che indaghi in continuazione il suolo, ma in realtà non vede niente, perché la mente è avviluppata da pensieri pieni di cattiveria». Lo stesso Dante nella Divina Commedia rappresenta gli invidiosi con gli occhi cuciti da fili di ferro perché nella vita hanno guardato il loro prossimo con occhio malevolo. Infatti invidia deriva dal latino in – avversativo – e videre: guardare biecamente, di malocchio, guardare male e voler male.

Con l’avvento dei social è diventato facile diffondere, incontrollati, «calunnie contro una persona la cui fortuna all’invidioso sembra un’ingiustizia. Sicuramente» ha detto papa Francesco, «pensa di meritare molto di più lui i successi o la buona sorte dell’altro!». In effetti, sottolineano gli psicologi, è tipico degli invidiosi ripetere spesso: «Tu non hai meritato» questa promozione, una particolare gratificazione, ottimi risultati in campo professionale. Persino vedere due persone felici che si amano scatena in loro perfidia; e “livore sparso”, come lo definisce Dante nel canto XIV del Purgatorio. Generalmente gli invidiosi vogliono schiacciare quelli migliori di loro per mostrare la loro superiorità, “intelligenza,” arrivando a mettere in atto manovre e comportamenti sleali, manipolando la realtà, la verità. Con grande cinismo. Infatti Francesco descrive la casa degli invidiosi... «con gli scaffali impolverati delle loro sicurezze, preconcetti e pregiudizi». Inoltre scavano nel passato delle loro vittime alla ricerca di eventuali mancanze da usare a livello strumentale per danneggiarle, deriderle, ferirle. Se non le trovano se le inventano. Oppure si adirano, perseverando nel loro intento, che giustificano come “legittimo diritto di critica” sancito dalla nostra Costituzione. Allora l’invidia diventa una vera e propria malattia, una patologia che prende il nome di sindrome di Procuste, un personaggio della mitologia greca il quale appostato sul monte Coridallo, un demo dell’Attica, (regione storica dell’antica Grecia che comprende l’omonima penisola che si protende nel Mar Egeo) aggrediva i viandanti e li torturava battendoli con un martello su un’incudine a forma di letto; amputando loro le gambe o fratturandone le ossa per fare in modo che si adattassero alla forma del medesimo. Ne abbiamo parlato con la psicologa psicoterapeuta Susanna Minasi che abita e svolge la sua professione ad Eindhoven, nei Paesi Bassi.

Dottoressa Minasi, quali sono i tratti caratteristici di chi soffre della sindrome di Procuste?

Caratteristiche tipiche sono la bassa autostima, la competizione costante, la rigidità, l’incapacità a confrontarsi con gli altri in una relazione alla pari, la difficoltà ad accettare i cambiamenti, percepiti come minacce al proprio status quo. Queste persone tendono a confrontarsi con gli altri su tutto: sport, ausili tecnologici, status sociale, vacanze, voti scolastici dei figli, e partono dal presupposto di essere migliori e di meritare di più. L’attacco invidioso è volto a sabotare e screditare l’altro, nel tentativo di rafforzare la propria presunta superiorità e confermare il proprio valore rispetto agli altri.

Come possiamo proteggerci se veniamo presi di mira da questo tipo di persone?

Questo tipo di persona non rispetta le differenze e non è aperto a un dialogo alla pari. Per questo motivo, cercare un confronto diretto risulta inutile. È altrettanto importante non rispondere alle accuse e non lasciarsi trascinare nella competizione. La strategia più efficace è mantenere una certa distanza, restare centrati su sé stessi e sulle proprie qualità, e continuare a focalizzarsi sui propri obiettivi. Nulla li infastidisce di più che vedere qualcuno soddisfatto e realizzato, nonostante i loro tentativi di sabotaggio.

L’invidia patologica può scoppiare anche nell’ambito familiare e come si può gestire?

Sì, certamente, questa dinamica può emergere in qualsiasi contesto. La gestione varia a seconda del livello in cui si manifesta: nella coppia, tra fratelli, o tra parenti più lontani, ecc. All’interno della famiglia ristretta, è fondamentale saper riconoscere questi segnali e chiedere aiuto tempestivamente. Come abbiamo detto, si tratta di segnali che indicano bassa autostima, insicurezza, scarse capacità relazionali e di regolazione emotiva, che possono sfociare anche in situazioni di profondo disagio psicologico.

Nel campo del lavoro è possibile affrontare e fermare chi perseguita con reieterate critiche, diffama, umilia, al di là del ricorso alla legge?

Il modo più efficace è evitare di agganciarsi in questa dinamica distruttiva. Se si è obbligati a interagire, è utile mantenere un atteggiamento distaccato, stabilendo accordi chiari e definiti su responsabilità e aspettative reciproche. Idealmente, è utile documentare questi accordi, poiché chi soffre di invidia patologica tende a manipolare la realtà pur di averla vinta. È altrettanto importante non lasciarsi coinvolgere nella rete di pettegolezzi e malumori che queste persone tendono a creare intorno a sé. Sebbene possa essere gratificante condividere frustrazioni comuni, questo approccio alimenta una parte negativa di noi, distogliendo energia dalla costruzione di progetti positivi e gratificanti.

Quando si finisce nella loro ragnatela il dolore è intenso. Il primo istinto è difendersi, restituire le offese ricevute, spesso si può perdere l’autocontrollo. Come uscirne senza riportare danni psicologici?

È fondamentale non scivolare nel ruolo di vittima, accettando l’invito a “giocare” una competizione a suon di svalutazioni reciproche. La chiave è affrontare la situazione a partire dalla consapevolezza del proprio valore personale e del proprio percorso, un passaggio tutt’altro che semplice ma cruciale. Per riprendere il controllo, può essere utile ricordare che il comportamento della persona riflette in realtà la sua debolezza e fragilità. Questa consapevolezza ci permette di percepire questi attacchi come meno influenti e capaci di esercitare un vero potere su di noi.

In che modo voi psicoterapeuti aiutate chi soffre di questa sindrome, devastante per gli altri ma anche per se stessi?

Si tratta di una condizione di grande sofferenza, che porta a isolamento sociale, ruminazione continua e intensi sentimenti di rabbia e frustrazione. Il lavoro psicoterapeutico si focalizza sul rafforzamento dell’autostima, sulla gestione delle emozioni e sull’analisi degli eventi passati che hanno contribuito allo sviluppo della sindrome. Parallelamente, si lavora per promuovere competenze personali e relazionali, con l’obiettivo di favorire maggiore apertura e cooperazione nelle relazioni con gli altri. La chiave sta nel confrontarsi con la pretesa di superiorità, spesso legata a un’immagine svalutata di sé in cerca di conferme. L’obiettivo è trasformare l’invidia in ammirazione per le qualità degli altri, scoprendo in esse indicazioni utili sui propri desideri profondi. Superando l’invidia distruttiva e imparando a collaborare e valorizzare le differenze, si apre la possibilità di crescere e imparare attraverso uno scambio positivo e reciproco. Si scopre così che insieme si va più lontano.

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