Annanaria Cattaneo, studiosa di psichiatria biologica, sta esplorando i livelli di molecole infiammatorie nel sangue dei soggetti con sintomi depressivi. Per scoprire come affrontare i casi di resistenza ai medicinali Negli ultimi vent’anni sono stati compiuti numerosi passi in avanti nello studio della depressione, per comprenderne le cause e identificare strategie di diagnosi, prevenzione e trattamento. Si è capito sempre meglio che esiste un ruolo dell’infiammazione e delle alterazioni del sistema immunitario in questa malattia. Diversi studi dell’Irccs Fatebenefratelli di Brescia hanno mostrato che i sintomi associati all’attivazione del sistema immunitario, tra cui stanchezza, anedonia e malessere, sono tipici anche nella depressione. Ciò non significa che essere stanchi o non provar piacere implichi una diagnosi di depressione. La sintomatologia associata all’iper-attivazione del sistema immunitario prende il nome di sickness behaviour ed è una condizione temporanea mentre la depressione è una patologia cronica. Ne parliamo con Annamaria Cattaneo, responsabile del Laboratorio di Psichiatria biologica e vicedirettore scientifico dell’Irccs Fatebenefratelli e docente dell’Università di Milano, per capire quale sia la ricaduta reale di alcune ricerche che si stanno conducendo.
Come siete arrivati a stabilire il ruolo del meccanismo infiammatorio nella depressione?
Le citochine pro-infiammatorie sono mediatori che accendono l'infiammazione e che, se rilasciate ad esempio nel sangue dal nostro sistema immunitario, possono arrivare al cervello influenzando la fisiologia cerebrale e contribuendo ai meccanismi patologici, come la neuroinfiammazione, che contribuisce alle malattie mentali. Dato il crescente interesse del mondo neuropsichiatrico, abbiamo lavorato molto su questi mediatori dell'infiammazione, le citochine pro-infiammatorie, confrontando pazienti diversi per patologia e risposta al trattamento. Prendendo parte a diversi studi anche a livello europeo, il nostro Irccs ha contribuito a confermare la presenza di uno stato infiammatorio in pazienti depressi e in quelli caratterizzati da una storia di eventi stressanti. Oggi possiamo sostenere che un alterato funzionamento del sistema infiammazione- immunità possa essere alla base dei cambiamenti strutturali e funzionali del cervello, alterazioni che potrebbero aprire la strada all’insorgenza della depressione, insieme all’alterazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e della produzione di neurotrasmettitori cerebrali.
Queste scoperte come cambiano la vita di un malato?
Nel momento in cui si appura il legame infiammazione- depressione e si riescono a descrivere i livelli di molecole infiammatorie nel sangue dei soggetti depressi, si riescono a ipotizzare nuove strategie di prevenzione e trattamento. Concretamente, abbiamo tre generazioni di farmaci: quelli di prima generazione, oggi poco utilizzati per i loro effetti collaterali; la seconda generazione, che comprende i più noti inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina; la terza generazione, con meno effetti collaterali. Le diverse classi di antidepressivi sono frutto di ricerche come queste, perché agiscono aumentando la concentrazione dei neurotrasmettitori nel sistema cerebrale. Altro problema è la resistenza al trattamento dei pazienti e la difficoltà nello scegliere il farmaco corretto al primo tentativo. Nonostante l’elevato numero di antidepressivi disponibili, circa due terzi dei pazienti non rispondono con successo alla terapia e un terzo non guarisce anche dopo il quarto tentativo. Perciò si indaga anche il contributo dello stato infiammatorio nella mancata risposta al trattamento. A Brescia abbiamo studiato le concentrazioni di citochine nel sangue di pazienti depressi e le loro fluttuazioni a seguito del trattamento farmacologico, aprendo una nuova strada nel tentativo di aumentare la risposta al trattamento, a partire dalla prima somministrazione.
I farmaci anti-infiammatori possano promuovere la risposta ai farmaci antidepressivi?
Se i farmaci antidepressivi sono in grado di modulare l’attivazione del sistema immunitario e dei meccanismi sottostanti la risposta infiammatoria, appare possibile il meccanismo inverso, ossia l’ipotesi che farmaci antinfiammatori possano svolgere una funzione antidepressiva, o meglio, possano aumentare l'efficacia dei farmaci antidepressivi. Nell’ultimo decennio sono state avviate diverse sperimentazioni, in cui farmaci come la minociclina, un antibiotico tetraciclico con proprietà antinfiammatorie, viene somministrata in pazienti resistenti al trattamento farmacologico con antidepressivi e che presentano uno stato infiammatorio misurato con i livelli di Pcr. Stiamo studiando come migliorare i sintomi della depressione anche in un contesto di resistenza farmacologica e di terapia personalizzata. Testiamo l’efficacia anche di terapie non farmacologiche come l’esercizio fisico o modulatori del microbiota intestinale: anch’essi influiscono sullo stato infiammatorio, in una depressione lieve o moderata.