Reuters
Primo decesso per influenza aviaria negli Stati Uniti. L’hanno comunicato le autorità sanitarie della Louisiana, dove è avvenito il decesso del paziente, 65enne che soffriva di patologie pregresse e che era stato a contatto con uccelli selvatici e da cortile non commerciali, uno dei veicoli di trasmissione del virus, che ha mostrato di poter infettare anche i bovini, con numerosi casi proprio negli Usa sugli animali e alcuni anche tra gli umani impiegati nella filiera lattiero-casearia. Il caso del decesso in Louisiana però segna un passaggio rilevante nella storia della malattia perché – come ha detto l’autorità per la vigilanza sulla diffusione delle malattie in America, i Centers for Disease Control and Prevention, riconosciuta a livello mondiale come “sentinella” globale sulle pandemie – si trattava del primo caso di contagio con sintomi gravi dopo 46 casi di contagio su esseri umani da virus H5N1 (l’influenza aviara) ed è del tipo D1.1, cioè il ceppo che circola tra gli uccelli selvatici che possono contagiare anche volatili da allevamento, una forma diversa dalla variante che infetta i bovini da latte e che sembra all’origine anche di morti di gatti che hanno bevuto latte di animali infetti.
La morte del primo paziente americano non è certo il primo caso di decesso nel mondo, dove l’aviaria risulta aver già ucciso circa la metà delle 900 persone che risultano infettate dal 2003, un dato che mostra una letalità molto superiore a qualunque virus e che tuttavia sconta il fatto che sinora sono stati registrati dalle autorità sanitarie solo i casi più gravi. In realtà secondo gli studiosi dei National Institutes of Health, massima autorità sanitaria Usa, il virus H5N1 costituirebbe un rischio ancora modesto per l’uomo, con i vaccini disponibili (cui si aggiungono quelli in fase di sviluppo) sufficienti a prevenire le forme gravi della malattia. Dalla letteratura scientifica risultano determinanti il monitoraggio e la prevenzione, un’attività che gli Stati Uniti – con i primi casi di contagi umani già registrati mesi fa – hanno attivato da tempo: un fatto che proprio per l’attenzione che si sta ponendo a tutti i nuovi episodi in terra americana fa però scattare l’allarme sulla prima morte negli States. La prova è nel fatto che il governatore della California, Gavin Newsom, ha dichiarato lo stato di emergenza per l’aviara tra i bovini da latte, complici anche due casi di contagio tra bambini che avevano bevuto latte non pastorizzato proveniente da allevamenti contagiati dall’aviaria.
Una vicenda come quello della Louisiana dunque, nella sua drammaticità, non era tuttavia inattesa e resta comunque sporadica, anche perché non è stata ancora rilevata alcuna diffusione da persona a persona. Non cambia per ora la valutazione complessiva dei Cdc sul rischio immediato per la salute pubblica derivante dall’influenza aviaria H5N1, che rimane basso. Una valutazione condivisa anche dalle autoritò sanitarie italiane: «Negli Usa il problema dell’influenza aviaria ha avuto una diffusione importate, il virus H5N1 si è diffuso in molti allevamenti di bovini – spiega Anna Teresa Palamara, direttrice del dipartimento Malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità (Iss) –. Per fortuna fino a oggi negli uomini l'infezione, quando è stata riscontrata, ha dato una sintomatologia molto blanda, ma questo non vuol dire che si deve sottovalutare il problema. In Italia abbiamo uno dei sistemi di monitoraggio più avanzati negli allevamenti, stiamo tenendo stretto controllo la circolazione dell'aviaria. Si è creata una rete di controlli tra Iss e Istituto zooprofilattico sperimentale (Izs) che da un paio di anni si parlano». È così che «integriamo i dati e studiamo i casi che si registrano negli allevamenti. Quello che si può fare in questo momento contro l'aviaria in Italia si fa, siamo in contatto con l'Organizzazione mondiale della sanità e l'Ecdc, se l'influenza aviaria si ricombina con quella umana può emergere un nuovo virus. Però al momento non rileviamo situazioni di allarme».