giovedì 13 giugno 2024
Con un verdetto unanime i giudici di Washington (a maggioranza conservatrice) respingono per questioni tecniche il ricorso contro le regole permissive che facilitano l'accesso all'aborto farmacologico
La Corte suprema di Washington

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Sentenza secondo i pronostici: con voto unanime (nove a zero), la Corte suprema americana ha respinto il ricorso di un gruppo di medici che chiedeva di dichiarare illegali le regole assai liberali delle autorità farmaceutiche americane sul commercio del mifepristone (principio attivo della “pillola abortiva”) in tutti gli Stati Uniti. Sono dunque andate deluse le speranze delle associazioni pro-life che solo due anni fa avevano esultato per la “sentenza Dobbs” con la quale la Corte aveva cancellato il suo verdetto del 1973 (Roe-Wade) e il conseguente diritto federale di poter ricorrere all’aborto. Ma l’ipotesi che l’attuale maggioranza conservatrice tra i nove giudici supremi confermasse l’orientamento di due anni fa era considerata più un auspicio che una possibilità concreta, per motivi giuridici più che etici. Ciò che il verdetto unanime ha confermato.

Il dibattito pubblico di marzo davanti ai giudici di Washington aveva visto l’Alliance Defending Freedom, pool legale a difesa delle ragioni dei medici anti-aborto, sostenere la tesi del danno personale patito dai loro assistiti, che lamentavano di aver dovuto assistere donne colpite dai rilevanti effetti collaterali della pillola abortiva, con la necessità di intervenire in procedure abortive alle quali non avrebbero voluto collaborare. Una tesi che la Corte suprema ha respinto ritenendo che i medici non avessero titolo a intentare la loro causa legale proprio perché già tutelati dall’obiezone di coscienza. Pur riconoscendo che «molti cittadini, compresi i medici querelanti, hanno sincere preoccupazioni e obiezioni all’uso del mifepristone e all’aborto» , ha scritto nella sentenza a nome di tutti i colleghi il giudice Brett Kavanaugh (nominato da Trump e favorevole due anni fa alla sentenza Dobbs), «il desiderio di un querelante di rendere un farmaco meno disponibile per altri non stabilisce la legittimazione a fare causa».

Al centro della controversia la decisione della Food and drug administration (Fda) di rendere accessibile durante il farmaco a base di mifepristone – prodotto dalla Danco laboratories col nome commerciale di Mifeprex – anche senza visita medica, in regime di telemedicina e con invio postale estendendo il termine massimo per assumerlo da 7 a 10 settimane. Un intervento che ha allargato notevolmente le maglie delle regole stabilite nel 2000 quando il farmaco fu introdotto negli Stati Uniti. Da allora è stato un rapidissimo crescendo di utilizzo della “kill pill”, fino al record del 2023 quando 643mila gravidanze sono state interrotte negli Stati Uniti con il Mifeprex associato alla prostaglandina per espellere i resti del feto, pari a oltre due terzi del totale, più di un milione di aborti, a sua volta nuovo primato assoluto (+10% in un solo anno): segno che, malgrado la sentenza Dobbs e le restrizioni introdotte negli Stati a guida repubblicana, gli aborti negli Stati Uniti sono tutt’altro che impraticabili come sostiene la propaganda più “liberal”. Soprattutto per effetto della facilità d’uso della pillola abortiva. Gli sconfitti di oggi già promettono però di tornare a dar battaglia, con altri argomenti.

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