Nel Paese degli ibridi e delle chimere, del figlio con tre genitori e degli ovuli in vendita, un movimento popolare sta animando il dibattito bioetico di questo periodo. Nella temeraria Gran Bretagna, infatti, c’è chi non ci sta a considerare l’embrione come inanimato materiale da manipolare. E così il Regno Unito sta rispondendo con un’ampia partecipazione alla campagna
One of Us («Uno di noi») a favore della tutela dell’embrione umano lanciata in tutti i Paesi europei da una rete di movimenti pro-life. Si tratta di un’iniziativa che, attraverso un nuovo strumento di democrazia partecipativa, permette di proporre alla Commissione europea, nelle materie di sua competenza, una legislazione che ponga fine a pratiche contro la vita umana. Una richiesta che si allinea alla recente sentenza della Corte di giustizia europea (Brüstle vs Greenpeace), che ha definito l’embrione come l’inizio dello sviluppo dell’essere umano. La petizione deve essere sottoscritta da almeno un milione di cittadini europei, provenienti da almeno 7 dei 27 Stati membri. Josephine Quintavalle, attiva nel fronte dell’associazionismo inglese per la vita, fondatrice e presidente del Core (
Comment on Reproductive Ethics), osservatorio sulle tecniche riproduttive umane, è membro del comitato organizzatore della campagna insieme ai rappresentanti di altri sei Paesi europei, anche se da quasi tutti gli Stati della Ue ci sono state adesioni da parte di gruppi e associazioni.
Lei è la referente per la campagna in Gran Bretagna. Chi sono i sostenitori della petizione nel vostro Paese?La campagna «Uno di noi» nel Regno Unito è supportata da un’ampia rete pro-life costituita principalmente da cristiani provenienti da diverse Chiese, ma l’apporto più consistente sta arrivando dalle Chiese evangeliche e da quelle a maggioranza nera. Ci sono anche partecipanti provenienti dal mondo pro-life musulmano. Il coordinamento è affidato a un gruppo chiamato Christian Concern, il cui leader è Andrea Williams. Lo sviluppo tecnico della campagna è stato seguito da Andrew Marsh in Inghilterra e Peter McIlvenna dall’Irlanda del Nord.
Perché ha accettato di lavorare per questo ambizioso progetto?Il Regno Unito è lieto di cooperare con le altre sigle pro-life europee. Andrew Marsh e io siamo stati coinvolti fin dall’inizio della campagna «Uno di noi», dando il nostro pieno appoggio. Abbiamo una grande ammirazione per il rigore intellettuale del ragionamento che sta dietro questa campagna e ancora una volta vorremmo cogliere l’occasione per congratularci con i colleghi italiani, tra cui Carlo Casini, che ha dato l’idea iniziale del progetto.
Come state lavorando con i movimenti degli altri Paesi Ue?Ci scambiamo regolarmente aggiornamenti. A fine mese potremo condividere formalmente anche l’esperienza acquisita nella campagna online in corso nel Regno Unito in difesa del matrimonio tradizionale.
Quali risultati si aspetta da questa campagna?Mi auguro vivamente che questa iniziativa abbia successo, che lo status dell’embrione umano venga riconosciuto una volta per tutte dalle istituzioni europee e che alla fine si ponga fine all’inesorabile distruzione della vita umana che attualmente è in corso in Europa. Ci sono stati 7 milioni di aborti nel Regno Unito e molte centinaia di migliaia di embrioni umani distrutti attraverso le tecniche di riproduzione artificiale. Questo attacco alla vita umana nella sua condizione più fragile dovrà fermarsi; quando l’embrione umano sarà definito dalla legge «uno di noi»: allora non sarà più possibile sostenere la sperimentazione sugli embrioni o l’aborto. Personalmente ho dato fin dall’inizio della campagna il mio massimo sostegno, anche con l’aiuto degli altri colleghi di Christian Concern. Sono molto fiduciosa nel fatto che nel mio Paese conteremo un numero impressionante di firme, che si uniranno alle centinaia di migliaia di adesioni che altri stanno raccogliendo in tutto il territorio dell’Unione europea.