giovedì 13 giugno 2024
Dal 2007 al 2019 in Italia si sono salvate 30mila persone. Attualmente sono disponibili diverse terapie in grado di migliorare la sopravvivenza e ritardare la progressione di malattia
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Diminuiscono i decessi per tumore alla prostata: dal 2007 al 2019 in Italia si sono salvate 30mila persone. Un risultato che si è potuto raggiungere grazie alla prevenzione e ai progressi nelle cure. Ed è un dato ancor più significativo se si considera la consistente crescita dei casi: sono 41.100 le nuove diagnosi stimate nel nostro Paese nel 2023, mentre erano 36mila nel 2020. Proprio alle nuove prospettive di cura è dedicato il Convegno ‘What’s NU, Traguardi che ispirano il futuro’, organizzato oggi e domani a Milano da Over Group. Attualmente sono disponibili terapie in grado di migliorare la sopravvivenza, ritardare la progressione di malattia e salvaguardare la qualità di vita. Un esempio è il darolutamide, potente inibitore del recettore degli androgeni, approvato a marzo 2024 dall’agenzia italiana del farmaco, in associazione a terapia di deprivazione androgenica e a chemioterapia, per il trattamento di prima linea dei pazienti con tumore della prostata ormonosensibile metastatico. Si tratta di un approccio in grado di ridurre del 32,5% il rischio di morte: «combina un significativo beneficio nel prolungamento della sopravvivenza e nel rallentamento della progressione della malattia – spiega Giuseppe Procopio, direttore del programma prostata oncologia medica genitourinaria della Fondazione Irccs istituto nazionale dei tumori di Milano – con un’ottima tollerabilità e salvaguardia della qualità di vita».

I progressi sono consistenti e continui, ma è stato sottolineato come il successo di una terapia non possa prescindere dall’ottimizzazione della gestione dei pazienti. Fondamentale in questo senso il lavoro multidisciplinare perché si possa garantire la terapia più appropriata, ma anche per riuscire a limitare gli effetti collaterali che incidono sulla vita del paziente e di chi se ne prende cura. Inoltre, come raccontato da Rolando M. D’Angelillo, professore associato di Radioterapia all’Università Tor Vergata di Roma, «la profonda modifica della storia naturale della malattia ha aperto nuovi scenari, spingendo la ricerca clinica verso nuove domande e nuove integrazioni con i trattamenti locali, cosa un tempo impensabile, come la radioterapia». E ha aggiunto: «I miglioramenti che viviamo oggi ci stanno ispirando e spingendo a rispondere a nuovi interrogativi nella continua propensione verso un miglioramento prima di tutto della salute dei pazienti».

Capire il ruolo fondamentale delle diagnosi precoce e lo sviluppo di nuove metodiche di imaging, come la risonanza magnetica e la pet, hanno rivoluzionato l’approccio al tumore prostatico. «Negli ultimi anni abbiamo anche compreso – ha spiegato Alberto Briganti, professore di urologia all'Università San Raffaele di Milano l’importanza dell’intensificazione del trattamento che prevede l’utilizzo combinato di più terapie con conseguente significativo miglioramento dei tassi di progressione e sopravvivenza. Questo, unitamente allo sviluppo e all’approvazione di nuovi farmaci e di nuovi approcci molecolari, permette un approccio sempre più personalizzato che, attraverso l’azione congiunta di più specialisti, porterà sempre maggiori benefici ai nostri pazienti».

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