Sono organismi formati in laboratorio, con caratteristiche analoghe a quelle degli embrioni umani, o veri e propri embrioni umani in vitro, avviati senza ricorrere alla fecondazione? È questa la domanda fondamentale cui è necessario rispondere per orientarsi nella ricerca sui cosiddetti embrioni sintetici. Fermo restando che se li si forma utilizzando cellule staminali embrionali di origine umana questo significa la inaccettabile distruzione di embrioni umani, resta l’enorme problema della loro natura. Gli scienziati che se ne occupano parlano in generale di “modelli embrionali”: entità, organismi viventi, distinti quindi da embrioni umani veri e propri. Lo fanno anche gli studiosi dei due gruppi di ricerca, uno britannico, dell’Università di Cambridge, e l’altro israeliano, del Weizmann Institute of Science a Rehvot, che hanno recentemente suscitato clamore anche al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori, quando hanno presentato le loro ricerche in questo ambito a importanti congressi internazionali. Ma il punto interrogativo resta, perché per rispondere alla domanda è necessario definire cosa è l’umano: la sofisticata ricerca della biologia più avanzata ripropone così il più antico dei quesiti. Fino a che punto si può spingere la “somiglianza” fra i modelli embrionali e gli embrioni umani, continuando a distinguerli con certezza? Ricordiamo l’indagine parlamentare inglese a proposito della possibilità di produrre embrioni ibridi umano- animale, che pose invano lo stesso interrogativo – cosa è l’umano – a studiosi ed esperti: non si riuscì a trovare una risposta condivisa. Tutti erano in grado di riconoscere un essere umano, un proprio simile, ma nessuno di definirlo in modo convincente al di fuori della biologia della fecondazione naturale, di ovociti con spermatozoi. E ancora: uno studio recente su modelli embrionali di scimmia ha dimostrato che essi possono indurre una gravidanza (che si interrompe spontaneamente dopo pochissimo). Riusciremo a mantenere in tutto il mondo il divieto di trasferire in utero gli “embrioni sintetici” in questione, per poterne verificare le potenzialità di dare origine a un essere umano? A pensarci bene, non è poi così diversa la preoccupazione di fondo che emerge a proposito di un’altra frontiera della scienza, pur riguardando radicalmente altro: l’intelligenza artificiale. Fino a che punto possiamo spingerci nel suo sviluppo, continuando a distinguerla da quella umana? Se e quando e in che condizioni e in quali settori diventa necessario porre confini alla ricerca e alle applicazioni in questo ambito? Gli interrogativi sull’umano e su ciò che lo rende tale sono importanti, specie a fronte di straordinari avanzamenti della tecnica e della scienza: sottovalutarli o eluderli significherebbe abbandonare tutto questo a pericolose dinamiche di mercato.
La sofisticata ricerca della biologia avanzata ripropone il più antico dei quesiti. E apre preoccupazioni simili a quelle sollevate dall’intelligenza artificiale
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