venerdì 12 luglio 2013
Cellule innestate nel virus riprogrammato hanno permesso di sconfiggere due gravi malattie e guarire sei bimbi. Lo studio, pubblicato su Science, è stato condotto dai ricercatori dell'Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica di Milano.
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Jacob si è appena svegliato, saluta con la manina gli amici dottori di Milano che lo hanno curato. È in collegamento telefonico via skype da Philadelphia. Lo tiene in braccio la sua mamma: è piccolo, ha tre anni. Nel suo sangue non c’è più traccia della sindrome di Wiskott-Aldrich. È guarito perché delle cellule “buone” hanno sostituito quelle infettate dalla sua terribile malattia. Jacob, Samuele, Canalp erano affetti dalla Wilskott-Aldrich, che distrugge il sistema immunitario. Mohammad, Giovanni e Kamal dalla leucodistrofia metacromatica. Sono i primi sei bambini curati con la terapia genica che ha permesso di correggere le loro stesse cellule staminali emopoietiche (del sangue) reimmesse in circolo nel loro corpo facendole “girare” grazie al virus dell’Hiv che, anch’esso corretto in laboratorio della sua pericolosità, ha la funzione buona di “mezzo di trasporto”, sia nel sangue che nel cervello.I risultati di questo studio, tutto italiano, sono stati pubblicati ieri sulla prestigiosa rivista internazionale Science in due articoli distinti, ma che partono appunto da questo stesso procedimento. Le due malattie, infatti, hanno entrambe all’origine un difetto genetico, ma con conseguenze diverse: nella leucodistrofia è il sistema nervoso ad essere colpito, nella Wiskott -Aldrich quello immunitario.A portare avanti i protocolli i ricercatori dell’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica (Tiget) di Milano, guidati da Luigi Naldini: «A tre anni dall’inizio della sperimentazione clinica – spiega – i risultati ottenuti sui primi sei pazienti sono incoraggianti: la terapia risulta non solo sicura, ma soprattutto efficace e in grado di cambiare la storia clinica di queste gravi malattie». Settanta tra ricercatori e clinici hanno lavorato dalla primavera 2010 ai due studi, coinvolgendo 16 pazienti in totale: 10 con la leucodistrofia, 6 con la Wiskott Aldrich. I trial per gli altri bambini continuano: nello studio sono stati inclusi soltanto quelli per i quali è passato un tempo sufficiente per affermare il successo. E adesso «andiamo avanti – dice Naldini – e speriamo che vengano prodotti presto i farmaci. La Glaxo Smith and Kline aveva già dimostrato un interessamento all’inizio. Ora, alla luce dei risultati, speriamo che sia ancora così».È stata una bella giornata all’Ospedale San Raffaele di Milano: Francesca Pasinelli, il direttore generale di Telethon (che ha stanziato 19 milioni di euro per i due studi) dice che è «la migliore degli ultimi 20 anni. Noi finanziamo la ricerca scientifica come strumento, il fine – precisa – sono i pazienti. Per questo stringiamo un patto di fiducia con i donatori, non vendiamo illusioni e non facciamo promesse che non siamo in grado di mantenere». Maria Grazia Roncarolo, direttore scientifico dell’Irccs San Raffaele, che aveva ideato gli studi preparatori alla sperimentazione clinica per la Wiskott-Aldrich, le fa eco: «I risultati ottenuti in questi due studi clinici sono l’esempio di come la ricerca condotta con rigore, determinazione e dedizione possa generare i frutti sperati e permettere di raggiungere le nuove frontiere della medicina».Nel caso della leucodistrofia la diagnosi tempestiva è stata fondamentale, prima che la situazione del cervello degenerasse definitivamente. Per questo ai trial sono stati inclusi i bambini che avevano già avuto fratellini con la malattia, che, nel frattempo sono morti. Significativa, dunque, la dedica degli studi ai piccoli che non ci sono più e ai loro familiari. E Alessandra Biffi, una delle ricercatrici, nello spiegare i sentimenti umani che animano chi scommette su questo genere di sfide si commuove: «Quando siamo entrati nella stanza di Mohammad, il primo paziente, con la siringa per la prima infusione ho pensato che se avessimo fallito ancora dopo tanti tentativi forse non lo avrei sopportato ancora». Ma non è andata così e i sei bimbi sorridono nella foto che li ritrae assieme, dietro il tavolo in cui sono raccolti i ricercatori che ci hanno creduto.

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