Tra ricorsi, ordinanze e sentenze prosegue il clamore suscitato dal caso della piccola Sofia, affetta da una malattia neurodegenerativa e curata con staminali della Stamina Foundation, operante all’interno dei laboratori degli Spedali civili di Brescia. Aifa e Ministero avevano imposto lo stop e indicato altre strutture a cui rivolgersi ma un servizio delle «Iene», ripreso sul Corriere della Sera da Adriano Celentano, aveva denunciato la sospensione delle cure come un atto ingiusto e arbitrario. Ora anche altre famiglie hanno ottenuto per via giudiziaria di proseguire la terapia, che comunque suscita più di un interrogativo. «Un parere sul metodo Stamina non posso darlo. Come faccio a pronunciarmi su un metodo che non è disponibile, che non è descritto da nessuna parte?». Esprime più di una perplessità Angelo Vescovi, direttore scientifico dell’ospedale Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo e della Banca della cellule staminali cerebrali umane di Terni, nata grazie a Neurothon, una onlus che finanzia la ricerca sulle malattie neurodegenerative. «Il livello che la discussione ha raggiunto è inaccettabile, mi dispiace che si parli di questi temi solo in occasione di casi eclatanti che non aiutano a capire – prosegue lo scienziato –. Nel nostro Paese è già possibile da anni somministrare le terapie compassionevoli, ma bisogna farlo all’interno delle regole, secondo procedure standardizzate. In questo caso il metodo è descritto solo in un brevetto, che ha lo scopo di proteggere la proprietà intellettuale ma come tale non è soggetto ad alcuno scrutinio da parte del mondo scientifico. Mi dispiace che i genitori di Sofia si siano trovati da soli ad affrontare questa situazione e siano incappati in questo metodo, pur rivolgendosi a una struttura pubblica. L’errore quindi è stato a monte, invece avrebbe potuto essere proposta un’alternativa secondo la legge. Adesso che è stata iniziata questa cura, neppure il ministero ha il potere di derogare perché si tratta di violazione di regole internazionali».
Un altro genitori che si è trovato a dover scegliere quale terapia applicare è Renato Leotardi, papà di Martina, affetta dalla nascita da atrofia muscolare spinale di tipo 1: «Quando è nata all’ospedale di Torino ci avevano detto che non ci sarebbe stato nulla da fare. Poi, invece, abbiamo scoperto grazie al Sapre (Settore di abilitazione precoce dei genitori) dell’ospedale Maggiore di Milano che ci poteva essere parecchio da fare per nostra figlia». E così Renato e Raffaella hanno imparato a gestire quotidianamente la malattia: «Crediamo molto nella ricerca, ma ci siamo sempre concentrati su ciò che potevamo fare noi, e abbiamo visto dei miglioramenti, in particolare grazie alla ventilazione non invasiva. Non condividiamo il parere che se per questi bambini ormai non c’è più nulla da fare tanto vale provare qualsiasi cosa. Noi stiamo facendo tutto il possibile per mantenere Martina in una buona qualità di vita. Le sperimentazioni non devono nascere dalla compassione, chi ha compassione non sta guardando i bambini, vede solo la malattia. Spero che finisca presto questo clamore perché mi rattrista la gara tra genitori».Il mondo scientifico ha provato a fare chiarezza. Come l’Associazione italiana di miologia, guidata da Maurizio Moggio, direttore dell’unità malattie neuromuscolari dell’ospedale Maggiore di Milano: «Avevamo già diffuso un documento per spiegare lo stato della ricerca, ma il clamore mediatico sollevato da un caso portato in tv purtroppo incide molto sull’opinione pubblica».
«In un comunicato affermiamo l’assoluta mancanza dei più elementari standard scientifici di questa cura – spiega Moggio – e questo è il parere di tutta l’associazione che raggruppa tutti i centri universitari e ospedalieri che si occupano di malattie neuromuscolari. Esiste un articolo pubblicato su un’autorevole rivista scientifica – ignorato dal dibattito – che dimostra l’inefficacia su un gruppo di bambini trattati all’Ospedale Burlo Garofalo di Trieste di questa procedura. Capisco che i genitori possano essere disperati ma è compito del medico non illuderli. Mi stupisce anche che in questa vicenda nessun giudice abbia chiesto alla comunità scientifica un parere. Bisogna partire dal presupposto che la comunità scientifica vuole raggiungere dei risultati, e lo fa seguendo il metodo scientifico, fatto di evidenza sperimentale e riproducibilità dei risultati. Quella di Stamina mi sembra invece un’operazione azzardata che crea pericoli. Ricevo centinaia di richieste di malati che vogliono informazioni sulle staminali. Il consiglio è fare sempre riferimento al medico che ha accompagnato nella diagnosi e che sicuramente è in contatto con le società scientifiche. In ogni caso tutti si possono rivolgere direttamente a noi o alla società italiana di neurologia o a Telethon».
Un problema di comunicazione lo evidenzia anche Enzo Ricci, del dipartimento di neuroscienze del Policlinico Gemelli di Roma e docente di neurologia alla Cattolica: «C’è moltissima aspettativa sulle staminali, che stanno diventando anche un business. Eppure potrebbero essere anche pericolose, vanno ancora studiate. Conosco famiglie che si sono indebitate pur di accedere a terapie non certificate che, dopo anni, non hanno portato ad alcun risultato, anche se può esserci un apparente miglioramento. Nel mondo scientifico non esiste una terapia che qualcuno tiene in tasca, chi è convinto di una teoria, la deve anche dimostrare e i risultati sono vagliati da altri, non da se stesso».