sabato 14 settembre 2013
​Nessuna società può crescere, può distribuire benessere, chinarsi sui bisogni degli ultimi, se le famiglie per prime non crescono, se per prime non educano al senso di giustizia e di solidarietà. È il richiamo forte che arriva dalla Settimana sociale dei cattolici italiani che si chiude domenica sera a Torino. (di Luciano Moia, da Torino)
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Nessuna società può crescere, può distribuire benessere in modo equo, condiviso e allargato, può chinarsi sui bisogni degli ultimi, se le famiglie per prime non crescono, se per prime non educano al senso di giustizia e di solidarietà, se per prime non sanno trasformarsi in ponte tra le generazioni. Se nelle famiglie non si coltivano memoria e futuro, se non si alimentano speranze fondate, se i genitori non riescono più a essere testimoni di vita buona e di principi capaci di umanizzare il cuore, dobbiamo prepararci a una società sempre più disgregata, più manipolabile, meno vivibile per tutti. Contro questo rischio il messaggio che arriva dalla Settimana sociale dei cattolici italiani, che domenica sera si chiude a Torino, è tanto esplicito quanto confortante. Esiste nel nostro Paese una larga base di comunità, di associazioni, di movimenti, ma anche di singole famiglie che hanno deciso di alzare la voce, di affermare con rispetto e con civiltà ma anche con energia e con determinazione le loro buone ragioni. Lo slogan è semplice ma ricco di prospettive: se cresce la famiglia, cresce il Paese. Se la famiglia è debole, come ha detto il cardinale Bagnasco, anche il Paese, anche l’intera società rischia di indebolirsi e di chiudersi in se stessa. Non è un destino ineluttabile. Anzi, da quanto si è visto qui a Torino, le energie per risalire la corrente ci sono. Le idee anche, la voglia di spendersi per trovare soluzioni condivise è tanta. Nessuna verità precostituita, nessuna pretesa egemonica, ma la consapevolezza sempre più allargata che solo a partire da un’identità familiare forte e non annacquata sarà possibile aprirsi al confronto e al dialogo. Se sono chiare le fondamenta dell’architettura familiare, se è chiara la cultura della differenza uomo-donna, se è chiaro il valore della reciprocità, sarà possibile scendere in campo aperto senza incertezze e offrire a chiunque una ricchezza umana e culturale che arriva da lontano e guarda lontano. Lo straordinario capitale umano, sociale e relazionale rappresentato dalla famiglia non è del resto una risorsa confessionale. Se si riconosce che la famiglia è valore senza etichette e senza barriere sarà difficile opporsi a proposte limpide e concrete, come quelle arrivate in questi giorni alla Settimana. A chi non interessa un fisco più equo, un sistema capace di risolvere la crescente difficoltà dei giovani di inserirsi nel mondo del lavoro, una scuola in grado di tornare ad assolvere i suoi compiti educativi integrando il ruolo comunque prioritario e irrinunciabile dei genitori? Ma non solo. Perché non riconoscere alla famiglia una personalità giuridica, trasformandola in ente di rilevanza pubblica? Perché non introdurre una sorta di indice di “compatibilità familiare” per le nuove leggi sul modello di quello già esistente per l’ambiente, nella consapevolezza che senza ecologia delle creature non ci potrà essere alcuna ecologia del Creato, come ha fatto notare Stefano Zamagni? Sì, se evitiamo i paraocchi ideologici e le posizioni pregiudiziali, far crescere la famiglia è possibile. E il Paese di conseguenza crescerà in modo più armonico, solidale ed accogliente.
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