Lo scorso 10 agosto l’onorevole Paola Binetti, esponente dell’Udc, scrisse al nostro giornale denunciando un problema cogente: «A Roma, a Villa Pia – scriveva – un neonato è morto perché la clinica mancava di terapia intensiva neonatale; al San Giovanni un altro neonato è morto perché sono stati invertiti alcuni tubicini, e si è scoperto che il reparto era affidato a una eccellente ginecologa, ma non a un medico esperto di Terapia intensiva neonatale; e per ultima una bambina è morta al Fatebenetratelli mentre stava per nascere». Il timore espresso dall’onorevole era che nelle operazioni di taglio imposte alla Sanità, «torni a crescere l’indice di mortalità neonatale. In questi mesi – proseguiva – ho rivolto varie interrogazioni al ministro della Salute e quando è stato possibile ho presentato anche ordini del giorno per chiedere una particolare attenzione alla Terapia intensiva neonatale, come tutela e garanzia della vita dei bambini appena nati. Proposte che hanno sempre trovato piena accoglienza teorica, ma nulla si è mosso». La risposta del ministro è arrivata a stretto giro di posta: «Vorrei ribadire – scriveva il 14 agosto – che la sicurezza nei punti nascita e nei reparti di terapia intensiva neonatale è da sempre all’attenzione del ministero della Salute». Renato Balduzzi sottolineava, però, «che la revisione della spesa non può costituire un alibi alla disorganizzazione cronica che riscontriamo in alcune Regioni. I nostri dati ci dicono già che chi spende meno offre in sanità migliori servizi, proprio perché spende “meglio”. I drammi che accadono, quelli che poi i giornali traducono con la parola “malasanità”, sono prevalentemente il frutto di una filiera di disorganizzazione, a sua volta spesso causata da incompetenza e scarso esercizio di responsabilità». Nel dibattito è intervenuto anche il direttore di Avvenire: «Ottimizzare le risorse disponibili è il solo modo sensato per procedere, in qualunque settore, in modo economicamente e moralmente sostenibile» evidenziava Marco Tarquinio. Prosegunedo: «Mi limito a ricordare a noi tutti quanto sia importante che un sistema sanitario saggiamente dimagrito (cioè liberato dal “grasso” degli sprechi) resti bello tonico».Risparmiare sì, ma non a spese dei più fragili. Tra i capitoli del bilancio pubblico, la spesa sanitaria è chiamata ai tagli più significativi. Ma non sarebbe certo accettabile che ne uscisse compromessa la cura per i pazienti nelle condizioni di maggiore debolezza. A cominciare da quelli che sono vulnerabili per definizione, ovvero i neonati con problemi dovuti a patologie o a nascita prematura. L’allarme lanciato il 10 agosto su
Avvenire da Paola Binetti (Udc), raccolto dal ministro della Salute Renato Balduzzi quattro giorni dopo sempre su queste pagine, richiama l’attenzione sulla necessità di accrescere gli standard medi (già elevati) dei nostri ospedali, restando alla larga da qualunque tentazione di “abbandono terapeutico”. Tra i più convinti che la terapia intensiva neonatale non possa restare vittima di sforbiciate dagli effetti facilmente prevedibili in termini di bambini non più salvati c’è il professor Mario De Curtis, ordinario di Pediatria all’Università La Sapienza di Roma e responsabile del reparto di Neonatologia e Terapia intensiva neonatale del Policlinico Umberto I.
Professore, periodicamente accade di dover registrare casi drammatici di morte subito dopo la nascita. Com’è possibile contenere errori e incidenti?L’assistenza neonatale nel nostro Paese potrebbe decisamente migliorare con una maggiore attenzione e organizzazione sanitaria. È un tema che certamente tocca il ruolo delle istituzioni, ma la sensibilità e il coinvolgimento di tutta la società civile rappresenterebbero un fondamentale stimolo per sollecitare interventi e soluzioni in difesa dei neonati, cioè dei soggetti più indifesi della società.
Eppure il nostro Paese vanta dati generali positivi...Non si possono certo negare alcuni significativi risultati degli ultimi tempi. Ogni anno nascono circa 550mila bambini, e grazie al miglioramento delle condizioni di vita e delle conoscenze mediche si è verificata una progressiva diminuzione della mortalità infantile nel primo anno di vita, che nell’ultimo decennio è passata da 8 a meno di 4 per mille nati vivi. I tre quarti del tasso di mortalità infantile sono da attribuire ai morti nel periodo neonatale, una parte rilevante di questi si verifica nella prima settimana. In Italia esistono oggi unità di Terapia intensiva neonatale (Tin) che nel campo assistenziale e della ricerca sono paragonabili a quelli dei migliori centri internazionali. All’Umberto I di Roma sopravvivono anche neonati piccolissimi, di soli 500 grammi o affetti da gravi patologie.
Su cosa si deve agire per ridurre ancora la mortalità?Bisogna intervenire sulla cura ai neonati prematuri che alla nascita hanno un’età gestazionale inferiore a 37 settimane, il 7-8% di tutti i nati, pari a 40mila ogni anno. A particolare rischio di morte e di malattia sono soprattutto quelli con peso alla nascita inferiore a 1.500 grammi o con un’età gestazionale sotto le 32 settimane. Questi neonati - circa 5.500 ogni anno - pur essendo l’1% di tutti i nati contribuiscono a più della metà della mortalità neonatale globale e a una parte significativa delle patologie dell’infanzia. Per loro è necessaria un’assistenza specialistica nei centri con personale particolarmente qualificato e apparecchiature tecnologicamente avanzate. Purtroppo in molte regioni i posti di Tin sono inferiori al fabbisogno riconosciuto (un posto letto ogni 750 nati). Di conseguenza spesso neonati prematuri, anche piccolissimi, non possono essere curati nel centro dove nascono, ma debbono essere trasferiti in un altro ospedale con un sicuro aumento del rischio di morte e di disabilità. Per esempio, nel Lazio mancano 20 posti di Tin e la mortalità neonatale è superiore alla media nazionale. Se il Lazio avesse la stessa mortalità della Lombardia si salverebbero ogni anno 40-50 neonati.
In tempi di economie, peraltro indispensabili, che situazione si profila nell’assistenza ai neonati più a rischio?I piani di rientro del deficit sanitario delle Regioni stanno aggravando la situazione assistenziale, soprattutto al Centro-Sud. Il blocco del reclutamento di nuovo personale non permette neppure la sostituzione di chi va in pensione e addirittura in maternità, e sta mettendo in ginocchio la quasi totalità dei reparti di terapia intensiva neonatale.
La recente vicenda del neonato prematuro morto al San Giovanni di Roma ha riproposto il problema degli errori nell’assistenza medica...Il rischio aumenta moltissimo quando il personale medico è ridotto in relazione al numero di pazienti ricoverati, una situazione che si osserva nella gran parte dei reparti dove non raramente le infermiere debbono raddoppiare i turni lavorando ininterrottamente per 14-17 ore. Sono situazioni che determinano inevitabilmente un aumento degli errori con conseguenti gravi complicanze.
Tagli e assistenza, entrambi necessari: come se ne esce?È auspicabile che, nonostante il difficile momento economico, vengano mantenuti se non potenziati gli interventi per l’infanzia e le famiglie più povere. Una particolare attenzione dovrà essere data alla salute delle donne in gravidanza, ai bambini nei primi mesi di vita, e soprattutto ai figli di donne immigrate. Questi bambini sono spesso esposti, per le particolari condizioni familiari ed economiche, a un rischio maggiore di malattia sia in epoca prenatale che subito dopo la nascita. Un sicuro miglioramento dell’assistenza ospedaliera neonatale si potrebbe avere accorpando i reparti di ostetricia e di neonatologia con un ridotto numero di nati perché tali strutture spesso non sono in grado di affrontare situazioni di emergenza e di offrire un’assistenza specialistica.
Professore, lei cosa cosa chiede?Che tutta la società si renda partecipe di una questione così complessa. E in prima fila dovrebbe essere il mondo cattolico, che si è sempre distinto nella salvaguardia dei valori fondamentali dell’uomo.