sabato 7 settembre 2024
Per decifrare la malattia rara più diffusa al mondo (ne soffrono 6mila italiani) arrivano borse di studio per due studiosi del Telethon Institute di Pozzuoli. «Lavoro precario, ma quanta passione»
Michele Genovese in laboratorio

Michele Genovese in laboratorio

COMMENTA E CONDIVIDI

La Fibrosi cistica è una di quelle malattie che non fanno rumore ma lasciano il segno. Non riempie le pagine dei giornali né accende dibattiti e discussioni. Eppure, in tutto il mondo oltre 100mila persone – in Italia 6mila – sono costrette a una vita di sofferenze e sfide quotidiane che, per chi non le vive, restano difficili da comprendere.

Malattia genetica rara più diffusa al mondo, la Fibrosi cistica è caratterizzata dalla mutazione del gene Cftr, colpisce i polmoni e, talvolta, l’apparato digerente. Un piccolo difetto ereditario fa sì che il muco prodotto dal corpo sia troppo denso, ostruendo le vie respiratorie e causando infezioni polmonari. Un bambino su 3mila soffre di questa sindrome. La ricerca ha fatto passi avanti negli ultimi vent’anni, ma una cura definitiva ancora non c’è: “solo” trattamenti per alleviare i sintomi e prolungare la vita dei malati.

In occasione della Giornata mondiale della Fibrosi cistica – l’8 settembre – viene sostenuta la ricerca per nuove cure e nuove terapie: a due giovani ricercatori del Telethon Institute for Genetics and Medicine di Pozzuoli, Michele Genovese e Daniela Guidone, è stato assegnato il compito di approfondire la conoscenza di alcuni specifici meccanismi della patologia, contribuendo a individuare una cura, con l’assegnazione di due borse di studio finanziate dalla Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica e dedicate alla memoria di Gianni Mastella, che della Fondazione è stato co-fondatore e poi direttore scientifico fino alla morte, nel 2021. E proprio grazie a ricercatori come Genovese e Guidone l’aspettativa di vita dei pazienti è aumentata notevolmente.

Michele Genovese sta lavorando sui cosiddetti “target alternativi”: in mancanza della Cftr, vengono modulate altre proteine, come Tmem16A e Trpv4, affinché si possa «ripristinare il corretto funzionamento delle cellule a livello polmonare». La malattia è molto complessa e presenta cinque classi di mutazione, ognuna delle quali richiede un approccio specifico. «Per la mutazione più comune – spiega –, chiamata delta F508, c’è una cura, sebbene non risolutiva. Si è costretti a fare fisioterapia, i più gravi passano anche cinque o sei ore al giorno in ospedale per poter solo espellere i muchi: ma se la malattia viene trattata fin dall’inizio c’è la possibilità di condurre una vita relativamente normale, potendo partecipare alla vita sociale e fare addirittura sport».

Siamo però talmente abituati a sentir parlare di progresso, innovazioni e cure da non considerare le persone che lavorano per far progredire la ricerca: «Da bambino – racconta Genovese – vedevo le campagne Telethon, mi veniva la voglia di dare una mano. Ed è quello che mi ha spinto a fare questo lavoro. Ciò che muove il ricercatore è proprio la passione, insieme alla volontà di trovare una cura che possa aiutare le persone malate». Passione e volontà tali da superare ogni difficoltà: «Noi ricercatori di base non viviamo di contratti stabili. Ho fatto anche altri lavori, e questo è il più precario. Però quello che mi motiva è l’idea di poter dare una mano al prossimo».

Sebbene la ricerca sulla Fibrosi cistica non garantisca visibilità, il lavoro di persone come Michele Genovese e Daniela Guidone continua, incessante. La speranza è che, un giorno non troppo lontano, li possiamo sentire esclamare: “Abbiamo la cura!”.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: