Michele Genovese in laboratorio
La Fibrosi cistica è una di quelle malattie che non fanno rumore ma lasciano il segno. Non riempie le pagine dei giornali né accende dibattiti e discussioni. Eppure, in tutto il mondo oltre 100mila persone – in Italia 6mila – sono costrette a una vita di sofferenze e sfide quotidiane che, per chi non le vive, restano difficili da comprendere.
Malattia genetica rara più diffusa al mondo, la Fibrosi cistica è caratterizzata dalla mutazione del gene Cftr, colpisce i polmoni e, talvolta, l’apparato digerente. Un piccolo difetto ereditario fa sì che il muco prodotto dal corpo sia troppo denso, ostruendo le vie respiratorie e causando infezioni polmonari. Un bambino su 3mila soffre di questa sindrome. La ricerca ha fatto passi avanti negli ultimi vent’anni, ma una cura definitiva ancora non c’è: “solo” trattamenti per alleviare i sintomi e prolungare la vita dei malati.
In occasione della Giornata mondiale della Fibrosi cistica – l’8 settembre – viene sostenuta la ricerca per nuove cure e nuove terapie: a due giovani ricercatori del Telethon Institute for Genetics and Medicine di Pozzuoli, Michele Genovese e Daniela Guidone, è stato assegnato il compito di approfondire la conoscenza di alcuni specifici meccanismi della patologia, contribuendo a individuare una cura, con l’assegnazione di due borse di studio finanziate dalla Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica e dedicate alla memoria di Gianni Mastella, che della Fondazione è stato co-fondatore e poi direttore scientifico fino alla morte, nel 2021. E proprio grazie a ricercatori come Genovese e Guidone l’aspettativa di vita dei pazienti è aumentata notevolmente.
Michele Genovese sta lavorando sui cosiddetti “target alternativi”: in mancanza della Cftr, vengono modulate altre proteine, come Tmem16A e Trpv4, affinché si possa «ripristinare il corretto funzionamento delle cellule a livello polmonare». La malattia è molto complessa e presenta cinque classi di mutazione, ognuna delle quali richiede un approccio specifico. «Per la mutazione più comune – spiega –, chiamata delta F508, c’è una cura, sebbene non risolutiva. Si è costretti a fare fisioterapia, i più gravi passano anche cinque o sei ore al giorno in ospedale per poter solo espellere i muchi: ma se la malattia viene trattata fin dall’inizio c’è la possibilità di condurre una vita relativamente normale, potendo partecipare alla vita sociale e fare addirittura sport».
Siamo però talmente abituati a sentir parlare di progresso, innovazioni e cure da non considerare le persone che lavorano per far progredire la ricerca: «Da bambino – racconta Genovese – vedevo le campagne Telethon, mi veniva la voglia di dare una mano. Ed è quello che mi ha spinto a fare questo lavoro. Ciò che muove il ricercatore è proprio la passione, insieme alla volontà di trovare una cura che possa aiutare le persone malate». Passione e volontà tali da superare ogni difficoltà: «Noi ricercatori di base non viviamo di contratti stabili. Ho fatto anche altri lavori, e questo è il più precario. Però quello che mi motiva è l’idea di poter dare una mano al prossimo».
Sebbene la ricerca sulla Fibrosi cistica non garantisca visibilità, il lavoro di persone come Michele Genovese e Daniela Guidone continua, incessante. La speranza è che, un giorno non troppo lontano, li possiamo sentire esclamare: “Abbiamo la cura!”.