In questo mese di maggio in cui si ricorda il 34º anniversario della legge 194 (22 maggio 1978) è tornata di attualità un’antica questione: quale metodo è più efficace per superare e vincere l’ingiustizia suprema che giustifica l’aggressione contro la vita debole trasformando il delitto in diritto? È preferibile risvegliare i dormienti e fermare gli anniversari con "un pugno nello stomaco" oppure suscitare l’amicizia e provocare la conversione promuovendo lo stupore causato dallo sguardo sulla meraviglia della vita umana e il fascino di un grande ideale da raggiungere? È preferibile il "pugno nello stomaco" o la "mano tesa"?
Da sempre il Movimento per la vita italiano ha cercato di portare a sintesi le due tendenze. L’ingiustizia contro la vita deve essere "denunciata", ma contemporaneamente la vita va "celebrata". L’anniversario della 194 non può essere dimenticato perché la ferita non guarisce se la si ignora, ma la terapia non è il dolore da solo. Ricordo che nell’estate che seguì il referendum sull’aborto ci fu tutto un susseguirsi paradossale di "feste per la vita": coloro che avevano perduto sentivano di essere chiamati a un impegno ancora più esaltante e duraturo. Essi dichiaravano che se non erano riusciti a cambiare la legge tuttavia avevano cambiato se stessi: questo suscitava una gioia. E nel primo anniversario della legge, nel 1979, 20mila giovani convocati a Milano nel cortile del Castello Sforzesco esplosero di gioia nell’ascoltare Madre Teresa di Calcutta, fratel Ettore e don Zeno Saltini, testimoni credibili di accoglienza dei più poveri.
Così è stato ogni anno, con manifestazioni pubbliche talora memorabili: ricordare la ferita, ma guardare avanti proponendo iniziative sempre nuove. Così sarà quest’anno nell’assemblea conclusiva del 20 maggio a Roma nell’aula Paolo VI del Vaticano, dove l’unità dell’intero popolo della vita, simboleggiata dalla presenza di leader di tutte le componenti, proietterà la memoria della ferita nell’orizzonte vastissimo di un’Europa da rigenerare a partire dal riconoscimento della dignità umana fin dal concepimento. L’iniziativa europea denominata «Uno di noi» esprimerà questa unità e questa speranza di fronte alla inaccettabilità dell’ingiustizia.
Domenica scorsa ho partecipato a un singolare modo di celebrare l’ormai imminente Festa della mamma. I movimenti per la vita del Valdarno superiore hanno organizzato un cammino che ha collegato due piccole chiese nella campagna a nord di Firenze: quella della Madonna delle Grazie (detta anche "del Sasso"), costruita nel ’400 in memoria di una miracolosa guarigione di un padre per la preghiera dei suoi piccoli figli, e quella di Monte Fiesole, sperduta frazione (diversa dalla gloriosa e ben nota Fiesole), dove si conserva il venerato quadro della Madonna del parto, dipinto sul finire del ’300. Il cammino di preghiera ha avuto un titolo: «Camminare con Maria attendendo il figlio», e ha proposto quattro brevi meditazioni sulla gravidanza. Ne ho riportato un pensiero: sarebbe bello e costruttivo se il Movimento per la vita, come dice il suo nome, fosse essenzialmente percepito come un movimento "per", non "contro". La stessa mobilitazione con la quale giustamente e necessariamente ricordiamo l’anniversario (triste) della legge 194 dovrebbe restituire alla cultura della vita altri anniversari che la società civile celebra ogni anno.
Penso alla festa della mamma (domenica prossima), alla festa della donna (8 marzo) e soprattutto alla Convenzione universale dei diritti del bambino (20 novembre) e alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (10 dicembre). Se aggiungiamo le ricorrenze religiose: la giornata della vita (prima domenica di febbraio) e il 25 marzo (anniversario del concepimento di Gesù) si può immaginare una continua celebrazione della vita nella quale il ricordo della 194 si incastona come doverosa denuncia di una contraddittoria ingiustizia, che va a ogni costo superata "per" un rinnovamento dell’intera società.