giovedì 16 luglio 2015
Sempre più richieste a Bangalore, capitale dell’hi-tech in piena espansione, di avere figli selezionati in base a caratteri estetici e sociali ben definiti Un mercato tutto interno che si allarga alla maternità surrogata.
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​Alto, pelle chiara, buona posizione lavorativa e – possibilmente – vegetariano. Non sono i desiderata di un annuncio matrimoniale ma i requisiti che diverse coppie senza figli in India iniziano a cercare nei donatori di ovociti (o seme) per sottoporsi a fecondazione in vitro o avvalersi della surrogazione di maternità. A Bangalore – capitale dello Stato meridionale del Karnataka, centro d’eccellenza dell’information technology e città in più rapida crescita dell’Asia – il fenomeno è particolarmente diffuso. Fino a qualche anno fa, le richieste più comuni erano che il donatore avesse lo stesso gruppo sanguigno dei futuri genitori e tratti somatici della stessa etnia. Lo conferma il dottor Vinay, medico del centro per la fertilità Milann. «Il nostro obiettivo – spiega – è sempre e comunque quello di rispondere alle richieste del paziente. Supponiamo che una coppia sia di origini mongole, o cinesi, o giapponesi. In tal caso, desiderano che il figlio abbia tratti somatici simili ai loro». Quelli che pretendono l’appartenenza a una casta specifica, per esempio, zsono più rari, ma anche qui cerchiamo di esaudire il loro desiderio. L’unico caso in cui ci opponiamo è quando si entra nella selezione di genere». Lo spettro dell’eugenetica, al centro di un ampio dibattito sin dalla prima nascita tramite provetta nel 1978, non sembra preoccupare né le coppie né i centri per la fertilità che – nella sola metropoli del Karnataka – sono circa 50.Eppure, nota monsignor Bernard Moras, arcivescovo di Bangalore, «dovremmo chiederci dove ci porteranno un domani queste strane richieste: una pelle più chiara, determinate abitudini alimentari, un buon lavoro. Sembra che oggi le persone si muovano da un estremo all’altro, convinte che porre queste condizioni le renderà felici. Voler decidere di che colore saranno i capelli di un figlio, tentare di creare un "bambino perfetto", significa dimenticarsi dell’intervento del Signore, e che la vita ci è stata donata da un solo e unico Dio».Non esistono dati ufficiali su quanto sia ampia l’industria della fertilità in India. Tuttavia tecnologia a basso costo, personale medico qualificato e una burocrazia molto "morbida" hanno reso il Paese una delle prime destinazioni del "turismo procreativo". Soprattutto dal 2002, quando la nazione ha aperto le porte alla surrogazione di maternità commerciale: insieme a Stati Uniti, Georgia, Thailandia, Russia e Ucraina, l’India permette che le donne siano pagate per portare in grembo il figlio di altri attraverso la fecondazione in vitro. Secondo uno studio dell’Onu, in India il mercato degli uteri in affitto vale più di 400 milioni di dollari l’anno.«La diffusione della fecondazione artificiale e della surrogazione di maternità – afferma Annamma Thomas, a capo del Dipartimento di ostetricia e ginecologia del St. John’s Medical College di Bangalore – sono questioni difficili da gestire. Stanno emergendo molti problemi perché c’è un abuso di queste tecniche, create per uno scopo preciso ma utilizzate per esaudire i bisogni più egoisti». Fondato nel 1963 dalla Conferenza episcopale dell’India, il St. John’s National Academy of Health Sciences comprende una facoltà di Medicina (considerata tra le migliori della nazione), un ospedale, una scuola infermieristica, un centro di formazione per paramedici e un centro di ricerca. Secondo la dottoressa, sempre più coppie scelgono di ricorrere alla fecondazione in vitro perché «non vogliono il peso di avere un bambino. Diventare madri e padri, un tempo, significava sposarsi in giovane età; le donne non erano molto istruite, o sceglievano di rimanere a casa». Oggi che il livello di istruzione è più alto e gli stipendi migliori, «le persone rimandano il momento in cui avere un figlio, perché non vogliono rinunciare alla loro carriera». In molti casi poi «i coniugi non hanno il tempo di stare insieme. Noi non pratichiamo la procreazione assistita, ma ho ricevuto coppie che sostenevano di avere problemi di fertilità quando in realtà non avevano il tempo di vivere la loro intimità».
I casi di sterilità reale, insomma, non sono così diffusi come il ricorso alla provetta farebbe pensare. «Abbiamo a che fare con un problema creato dall’uomo – aggiunge la specialista – e dal nostro ambiente sociale e finanziario. Cercano la fecondazione in vitro, o la surrogazione di maternità, persone che sono al top delle loro carriere e non vogliono rinunciare allo status acquisito. O che, avendo ritardato il momento in cui mettere al mondo un bambino, incontrano normali problemi legati all’età. Se si sposassero un po’ prima...».
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