La legge 40 è «equivoca e non coordinata», quindi è legittimo il ricorso alla diagnosi preimpianto per coppie fertili. È questa la sintesi dell’ordinanza con cui il tribunale civile di Roma ha accolto il ricorso d’urgenza di una coppia portatrice di fibrosi cistica, dichiarando «il diritto dei signori Rosetta Costa e Walter Pavan a sottoporsi al procedimento di procreazione medicalmente assistita con trasferimento in utero della signora Costa, previo esame clinico e diagnostico degli embrioni creati tramite fecondazione in vitro, solo degli embrioni sani o portatori sani rispetto alla patologia da cui sono affette le parti mediante le metodologie previste dalla scienza medica e con crioconservazione degli embrioni malati sino all’esito della tutela di merito».La questione era nata dal ricorso alla Corte di Strasburgo nell’ottobre 2010 di una coppia, Rosetta Costa e Walter Pavan, dopo la scoperta di essere entrambi portatori sani della malattia. Nel desiderio di concepire un figlio immune dalla patologia, decisero di ricorrere alla fecondazione artificiale previa diagnosi preimpianto. La Legge 40 però prevede il ricorso alla Pma (procreazione medicalmente assistita) solo per le coppie sterili e proibisce la diagnosi genetica preimpianto sugli embrioni prodotti. Con la sentenza del 28 agosto 2012, la Corte Europea aveva dato ragione ai due coniugi, rilevando «l’incoerenza del sistema legislativo italiano» che «da una parte priva i richiedenti dell’accesso alla diagnosi genetica preimpianto» e «d’altra parte li autorizza a una interruzione di gravidanza se il feto risulta afflitto da quella stessa patologia». Concludendo quindi che «l’ingerenza nel diritto dei richiedenti al rispetto della loro vita privata e familiare è quindi sproporzionata».La legge 194 però consente l’aborto cosiddetto «terapeutico» a determinate condizioni, cioè se quella malattia costituisce un «grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna», e non «soltanto» perché il bambino risulta malato. Contro la sentenza di primo grado il governo Italiano aveva presentato domanda di riesame, ma questo nuovo ricorso era stato dichiarato inammissibile dalla Cedu. Ora l’ordinanza del tribunale di Roma fa esultare l’Associazione Coscioni: «La sentenza è storica – spiega l’avvocato Filomena Gallo – perché, eseguendo direttamente le indicazioni della Corte europea, supera la necessità di intervento della Corte costituzionale e disapplica direttamente, per la prima volta, una norma nazionale come la legge 40».«Il giudice italiano non può disapplicare una legge dello Stato in contrasto con una decisione europea», ribatte Filippo Vari, docente di Diritto costituzionale all’Università Europea di Roma: «In ipotesi di contrasto tra una norma interna e la Cedu, il giudice è tenuto a sospendere il giudizio e rimettere la questione alla Corte Costituzionale, non vi sono altre strade». In questo ambito la giurisprudenza è consolidata, spiega il giurista: «La Consulta è stata sempre chiara e decisa nel ribadire la propria competenza esclusiva in merito. Questo è da intendersi come un pronunciamento isolato e non applicabile ad altri». «Il giudice ha qui dato rilievo alla sterilità "sociale" e non biologica», commenta Alberto Gambino, ordinario di Diritto privato, «dove se si pensa di far nascere un figlio non sano, ci si considera infertili».Anche la presunta equivocità della legge 40 sulla diagnosi preimpianto è da smentire: «La norma di divieto, contenuta nell’art. 13 comma 3 delle legge, è talmente chiara che i coniugi ricorrenti sono dovuti andare fino alla Corte europea – conclude Vari – che non ha fatto altro che rilevare un’incoerenza tra due norme, ma non la mancanza di un divieto di diagnosi preimpianto».