Medici e infermieri del Regno Unito saranno vincolati a idratare e alimentare sempre i pazienti in fin di vita. L’ha deciso l’ente sanitario Nice – National Institute of Health and Care Excellence – preso atto del ripetersi di casi di pazienti terminali abbandonati e lasciati morire di sete e di fame perché ritenuti ormai alla fine. «Sembra incredibile che si sia dovuti intervenire – spiega Andrea Williams dell’associazione Christian Concern – ma è accaduto che gli staff ospedalieri abbiano mostrato di disporre del potere di sospendere la somministrazione di nutrimenti vitali ai malati terminali allo scopo di accelerare la loro fine». I medici desumevano questo sedicente diritto di vita e di morte da un protocollo terapeutico molto controverso, conosciuto come Liverpool Care Pathway (Lcp), del quale il governo mesi fa ha deciso una volta per tutte di vietare l’uso negli ospedali dopo una serie di denunce da parte di familiari di malati terminali inorriditi dal trattamento riservato ai loro cari. Sui media inglesi si è parlato di pazienti che succhiavano spugne sporche pur di riuscire a ottenere un minimo di acqua, di figli a cui non è stato permesso di dire addio a genitori agonizzanti, di pazienti cui è stata interrotta l’alimentazione assistita senza aver interpellato i diretti interessati o i loro familiari. Nella patria di Cecily Saunders, l’infermiera che per prima riuscì a sottolineare l’importanza delle cure palliative introducendole negli ospedali, sembra impensabile che ai moribondi sia negato un diritto così fondamentale come quello di poter avere acqua e nutrimento sino alla fine. Eppure anche dopo il ritiro dell’Lcp diversi organismi assistenziali hanno denunciato il fatto che molti ospedali continuassero ad appellarsi ai suoi schemi operativi semplicemente chiamandolo con un altro nome. Lo dimostra anche una recente ricerca del Royal College of Nursing secondo la quale le infermiere non hanno osservato rilevanti cambiamenti nella cura dei pazienti terminali da quando è stato ritirato l’Lcp, prova che la discussa pratica in realtà continua a essere usata. Ecco perché è stato fondamentale imporre ai medici le nuove linee guida, come ha spiegato Sir Andrew Dillon, direttore di Nice: «Il protocollo fu originariamente introdotto con lo scopo di garantire cure palliative alle persone in fin di vita ma è ormai ovvio che si è abusato del sistema». Secondo Antonia Tully, dell’associazione per la tutela dei malati Patients First, «c’è ancora molto da fare per proteggere questi pazienti estremamente vulnerabili».
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: