martedì 17 settembre 2024
Qual è lo scenario nel quale si muove chi vuole capire come promuovere la dignità della vita umana oggi? E quali sfide ci attendono? Una riflessione a tutto campo
Cultura dello scarto o cultura della vita: e se fossimo arrivati al bivio?

Foto Romano Siciliani

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Pubblichiamo il testo del discorso con il quale Marina Casini, presidente del Movimento per la Vita italiano, ha concluso il 7° Corso di Alta Formazione “Roberto Bennati” per volontari dei Centri di aiuto alla Vita, che si è svolto recentemente sull’Altopiano di Asiago, sul tema «Accogliere la Vita. Trasformare le sfide in opportunità»

In che senso parliamo di “cultura”. Che significa “cultura”? Di quale cultura parliamo? Non si tratta del livello di istruzione, dei titoli di studio, delle pubblicazioni, delle cattedre. Parliamo di cultura come modo di pensare, di vedere e comprendere la realtà, l’uomo, il mondo. Parliamo di cultura come modo di rapportarsi alla domanda di senso di ciò che ci circonda, in particolare della vita dell’uomo e di ciò che lo riguarda. Parliamo qui di cultura come qualcosa che ha a che fare con la dimensione spirituale e intellettiva che genera comportamenti conseguenti. Cultura è dunque quel modo di pensare che si divulga tra la gente e cambia la storia.

Lo sguardo su ogni uomo concreto. Il modo di guardare, o anche il rifiuto di guardare, ogni uomo concreto genera cultura. Che si intende, dunque, per “cultura dello scarto”? Che significa “cultura della vita”? Qual è il discrimine, il punto di massima diversità da cui derivano tutte le conseguenze dell’una e dell’altra? È, appunto, il pensiero sull’uomo, l’antropologia. Attenzione, non si tratta della questione della vita umana e del suo valore in generale, in astratto, ma cosa si pensa del valore – dignità – di ogni essere umano concreto, reale, presente, esistente dal venire in essere nel concepimento alla morte. Da questo pensiero discende tutto il modo di vedere, di interpretare, e quindi di agire sia sul piano personale che sociale e politico.

La cultura dello scarto. La cultura dello scarto apprezza la vita, però non in sé stessa: soltanto per ciò che offre in termini di godibilità e benessere complessivo. Il valore della vita è misurato sulla “qualità”, sulla “funzionalità” e/o sulla presenza tangibile di alcune caratteristiche e/o sulla capacità di manifestare le facoltà cognitive e volitive. Conosciamo bene le declinazioni di questo pensiero. Di fronte alla vita che dal nulla si affaccia all’esistenza, come la vita del piccolissimo essere umano appena concepito, di fronte alla vita colpita dalla malattia e dalla disabilità, di fronte alla vita di chi, devastato, fugge dalla guerra e dalla miseria, di chi è considerato “inutile”, la cultura dello scarto non è capace di lasciarsi interrogare sul senso più profondo dell’esistenza, sul suo intrinseco valore, e questo porta ad interpretare in chiave discriminatoria il concetto di dignità umana e di persona. Tutto, e a tutti i livelli, ne risente. La libertà, sganciata dal suo legame costitutivo con la verità e con l’amore, viene intesa in chiave esclusivamente individualistica: è la libertà dei più forti contro i più deboli destinati a soccombere. I diritti umani vengono corrotti - il “diritto di aborto” è la più smaccata perversione dei diritti - e le relazioni umane subiscono un grave impoverimento. L’altro non gradito tende ad essere visto come un nemico da cui difendersi o da eliminare, arrivando persino a negarne l’umanità. La vita e la morte si possiedono, come cose di cui si può disporre. In tutto questo, il linguaggio gioca un ruolo fondamentale, perché tende a coprire alcuni delitti contro la vita nascente o terminale con locuzioni di tipo sanitario. Manca la capacità di aprirsi ad una trascendenza totale, all’intuizione di un senso naturalmente, ma autenticamente, religioso che lascia sperare in un mistero buono racchiuso nell’esistenza.

La cultura della vita. La cultura della vita sa apprezzare tutto ciò che rende la vita godibile, piena, utile, gradevole a livello fisico, psichico e spirituale… ma non si ferma qui. Sa cogliere l’essenza, il fondamento dell’esistenza, con quello sguardo contemplativo di cui la cultura dello scarto non è capace. Non si arrende quando non sperimenta o non sperimenta più godibilità, autosufficienza, benessere. Sa che c’è comunque un senso, un valore, in quella vita, un valore che non dipende da ciò che rende la vita gradevole e interessante. La cultura della vita nasce da uno sguardo di venerazione che sa riconoscere in sé e nell’altro il segno di una realtà più grande ed è – la cultura della vita – generativa di responsabilità e amorevole custodia dell’uomo. Il Movimento per la vita e i Centri di aiuto alla vita sono nati dalla contemplazione della dignità della vita umana nella fragilità emblematica dell’inizio. Da questo sguardo, profondamente umano, che si posa sul più piccolo e inerme degli uomini – il concepito – deriva tutto un modo di intendere la persona, le relazioni, i diritti, l’uguaglianza, la libertà, la giustizia, la democrazia.

«Uno scontro immane e drammatico». Scriveva Giovanni Paolo II: «Ci troviamo di fronte ad uno scontro immane e drammatico tra il male e il bene, la morte e la vita, la “cultura della morte” e la “cultura della vita”. Ci troviamo non solo “di fronte” ma necessariamente “in mezzo” a tale conflitto: tutti siamo coinvolti e partecipi, con l'ineludibile responsabilità di scegliere incondizionatamente a favore della vita (Evangelium vitae 28). Non dobbiamo farci vincere dal pessimismo e dalla rassegnazione. Il “cambio d’epoca” che siamo vivendo offre una grande opportunità, perché contiene una sete di verità, una domanda di senso dell’uomo, della società, del mondo. Tutte le questioni che si presentano e si accavallano nella società e nella politica esigono – oggi come non mai – preliminarmente di sapere chi è l’uomo, che valore ha la vita umana. Lo sguardo sull’essere umano, fisicamente minuscolo, appena venuto in essere nel grembo della mamma o in una provetta, offre la grandissima opportunità di essere il banco di prova più efficace per verificare cosa si pensa veramente dell’uomo. Si tratta di andare alle radici stesse della vita, della verità, dell’amore. Per questo è irrinunciabile battere e ribattere su alcuni punti.

Uno di noi. Il primo punto è la convinzione della piena umanità del concepito. La scienza moderna lo prova chiaramente, la ragione lo conferma. Difenderlo significa in primo luogo renderlo visibile a tutta la società. Egli va collocato nelle categorie visibili dei bambini, dei poveri, degli ultimi. «Questa è la dimensione gloriosa del nostro compito. Non abbiamo che un solo argomento – lo abbiamo sempre detto – ma esso è invincibile e vittorioso. Lo dimostra lo sforzo costante dei nostri contraddittori nei Parlamenti, nei media, in ogni tipo di dibattito, di sottoporlo a censura, di deviarlo, di impedirne l'ascolto. Il nostro unico argomento è l’uomo. “Uno di noi” è il modo più semplice - direi popolare - per formularlo». (Carlo Casini, dalla relazione all’assemblea nazionale del MpV, 2015).

Base di partenza per un impegno globale e unitario, “sigillo di autenticità”, principio del rinnovamento, condizione della pace. È indispensabile far comprendere che l’impegno per il diritto a nascere e per la tutela della maternità durante la gravidanza, non è uno dei tanti ambiti del volontariato, un settore a sé che si aggiunge agli altri, ma è quello che se capito a fondo illumina e rafforza l’impegno per l’uomo in ogni ambito. Sono in gioco la massima povertà umana (Madre Teresa diceva che i bambini non ancora nati sono i più poveri dei poveri) e la primordiale solidarietà (alleanza madre-figlio; la gravidanza imprime il sigillo dell’amore sulla vita umana). Siamo alle radici dell’amore per ogni uomo e in ogni circostanza («Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l'accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono», “Caritas in veritate”, n.28). Siamo alle radici della pace! Lo sguardo sul più povero, indifeso e piccolo degli uomini non riguarda un impegno settoriale, ma è il “sigillo di autenticità” di ogni altro impegno a servizio dell'uomo, dona occhi nuovi per vedere meglio la preziosità della vita di ogni uomo in ogni periferia, costruire la fraternità, promuovere i veri diritti, andare incontro alla pace. È il punto di partenza per un impegno globale profondamente unitario che riguarda tutta la vita, senza unilateralismi e discriminazioni, perché la vita umana non è frazionabile perché sempre caratterizzata da una dignità che si manifesta con la stessa forza e la stessa intensità in ogni momento, in ogni fase, in ogni circostanza. Non è possibile occuparsi nel concreto di tutto, ma culturalmente si può provare che lo sguardo sul concepito dona “occhi nuovi” per interpretare l’orizzonte di tutto ciò che riguarda l’uomo e l’umano e per rinnovare l’intera società civile. Rozzamente ideologiche e assurde, quindi, le contrapposizioni, per esempio, tra “vita nascente” e “vita migrante” agganciate per di più ad altre contrapposizioni partitiche (“destra”-“sinistra”) e valutative (cattolici della morale e cattolici del sociale). Tutto si tiene, un autentico amore per l’uomo è indivisibile, non esiste questione morale che riguardi la vita dell’uomo che non sia anche questione sociale e viceversa.

La fede a servizio del bene comune per una autentica laicità. L'identità umana del concepito colloca l'istanza della sua difesa nello spazio della laicità e acquista la forza attualissima del principio di uguaglianza. Sul diritto alla vita di chi non è ancora nato è proprio la cultura laica a dover essere richiamata alla sua verità e nobiltà. Il fatto che siano dei credenti a promuovere la dignità di ogni essere umano non significa che il tema sia confessionale e che si tratti di una ingerenza indebita nella vita dello Stato. Se nei secoli passati la fede chiedeva protezione e sostegno al potere civile, oggi non è più così: è il potere civile che ha bisogno di quel supplemento di luce e di forza che deriva dalla fede per fondarsi saldamente sulla dignità umana, così come postulata dalla moderna idea dei diritti dell’uomo. Ciò che definisce la laicità è il perseguire come obiettivo un valore comune (in questo senso laico) facendo ricorso come strumento di lavoro alla ragione (elemento comune, quindi laico). È dunque laico l’obiettivo primario di rispettare la inerente e uguale dignità di ogni essere umano (principio base della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo) utilizzando la ragione come metodo comune di lavoro.

Vincere il male con il bene. Fondamentale è tenere il timone dritto sul metodo e sullo stile di lavoro, su una comunicazione positiva e attraente che punta a dare ragione della speranza che ci muove (il Giubileo che è alle porte può aiutarci molto in questo), a sviluppare capacità di dialogo, a veicolare il pensiero e l’azione con la convinzione che il Vangelo della Vita è nel cuore di ogni uomo. Amore verso tutti senza mai tradire la verità. Certamente dobbiamo essere consapevoli del male e saperlo riconoscere, ma dobbiamo vincere il male presentando la bellezza della libertà che viene dal vivere il “noi”; suscitando simpatia per la verità, accompagnando le parole con comportamenti di accoglienza concreta che diano loro autenticità e che manifestino un grande amore per l’uomo. Carlo Casini rispose così a chi impostava la comunicazione su toni di accusatori di condanna: «L’aborto è l’uccisione di un essere umano, ma penso che per cambiare la attuale cultura della morte e salvare il maggior numero possibile di bambini, bisogna riuscire ad entrare nel cuore delle donne e risvegliare il loro coraggio materno. Bisogna anche penetrare nel pensiero unico dominante evitando reazioni di chiusura negli interlocutori. Per questo aspetto è importante parlare positivamente del bambino. Dopo tanti anni di lunghe battaglie sono convinto che questo è il punto centrale essenziale, persuasivo, coerente con la scienza e con la moderna cultura dei diritti umani».

“Tenacia operosa” e criterio della gradualità. Le sfide in corso e quelle che ci attendono non consentono risultati immediati. Occorre procedere con la forza della “tenacia operosa” che ha un obiettivo da raggiungere, perciò si estende nel tempo con un impegno costante e non si chiude nel passato aprendo percorsi di avanzamento. Le azioni già svolte devono essere continuate ed eventualmente sviluppate se sono state positive, ma non ancora sufficienti a raggiungere la meta. La tenacia è operosa se agisce e se è mossa anche dall’intelligenza che scopre nuove vie di azione. Non si tratta di prepararsi a dire dei “no” in attesa delle sempre più gravi aggressioni contro la vita, ma di pronunciare dei “sì” anticipatori, che prevengano le aggressioni e rendano più vicino il traguardo finale. Perciò la tenacia operosa deve accettare il metodo della gradualità, procedendo per tappe che non sono un abbandono del progetto, ma il modo tenace per realizzarlo tenendo conto di tutte le circostanze. Non diversamente, chi vuole raggiungere la cima di una montagna deve talora programmare obiettivi limitati che sono però necessari per arrivare alla meta.

L’unità sul tema della vita. È un tema decisivo. Nonostante quello che si dice, il tema della vita è unitivo in sé perché mette in gioco un valore basilare comune a tutti gli uomini, anche se i cattolici sentono il dovere, anzi “il privilegio e l’onore”, come disse Bobbio, di essere in prima linea. Si colloca qui la responsabilità dei cattolici, delle loro associazioni e movimenti, affinché l’unità sul piano dei princìpi, diventi anche unità sul piano degli obiettivi da raggiungere di volta in volta, sul metodo di azione e comunicazione e sulle strategie operative. Questo vale tanto nella dimensione sociale, quanto nella dimensione politica. In ballo non ci sono solamente il diritto alla vita e la tutela della maternità, ma la credibilità e la forza di ogni altra azione a difesa dell’uomo condotta dai cattolici nella società civile; in gioco non c’è solamente l’unità dei credenti, ma il seme per una unità più grande.

Spiritualità della vita. Il nostro non è un impegno filantropico, ma un impegno che si radica nel Lieto Annuncio: «Il Vangelo dell'amore di Dio per l'uomo, il Vangelo della dignità della persona e il Vangelo della vita sono un unico e indivisibile Vangelo» (“Evangelium vitae”, n. 2); «Ogni bambino non nato, ma condannato ingiustamente ad essere abortito, ha il volto di Gesù Cristo, ha il volto del Signore, che prima ancora di nascere, e poi appena nato ha sperimentato il rifiuto del mondo» (papa Francesco, 20 settembre 2013). Nello stesso tempo, la spiritualità della vita, proprio perché centrata sul valore dell’esserci e dell’esistere di ciascun essere umano, si presta ad essere ecumenica.

Verso il Giubileo della Speranza. «Sono convintissimo – ha scritto Carlo Casini – che per difendere la vita bisogna essere “testimoni della speranza” e che perciò, il volto rattristato, le visioni cupe, il dito accusatore non hanno base. Siamo ammiratori del miracolo, testimoni dello stupore, seminatori certi della vittoria finale. Progettiamo la ricomposizione, non la divisione». E allora che sia la Speranza a sospingere, gioiosamente, il cammino di ciascuno di noi e di tutta la società verso la civiltà della verità e dell’amore, perché questo - nonostante tutto - è il senso ineluttabile della storia.



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