La Conferenza internazionale per l’abolizione universale della maternità surrogata conclusa sabato 6 aprile dopo due giorni di lavori, alla Lumsa di Roma, ha rappresentato una preziosa occasione di confronto tra esperti dei cinque continenti ed esponenti di spicco delle Nazioni Unite. Una due giorni di dibattito per sensibilizzare l’opinione pubblica e chi ha responsabilità di governo sugli effetti nocivi della surrogazione di maternità e, insieme, descrivere gli strumenti giuridici a disposizione degli Stati per scoraggiarne il ricorso.
Come Forum delle Associazioni familiari abbiamo voluto offrire sostegno a questa iniziativa perché riteniamo impossibile accogliere una qualsivoglia dimensione etica della maternità surrogata in quanto consiste in un processo di globalizzazione della riproduzione e di segmentazione della procreazione: il bambino diventa un oggetto che può essere scomposto nelle sue parti in qualunque luogo del pianeta e poi assemblato nel corpo di una donna. In questo dinamismo sia la spedizione degli embrioni in giro per il mondo che l’uso dell’utero della donna sono già da soli elementi eticamente inammissibili.L’approccio alla pratica della maternità surrogata ha inoltre un vulnus significativo. Pecca pesantemente infatti di una visione esclusivamente adultocentrica: i desideri e le aspirazioni dei cosiddetti genitori intenzionali vengono posti in primo piano ipotizzando che anche il bambino ne tragga beneficio.
La pratica della maternità surrogata non tiene in alcun conto i diritti lesi del figlio oggetto della transazione, anzi, permette anche manipolazioni prenatali per rendere il “prodotto” del concepimento rispondente al desiderio dei committenti. Bambini di serie B che perdono ogni diritto prima ancora di nascere. Inoltre, il nascituro viene privato anche della relazione fondativa con i propri genitori biologici.
Il modello commerciale di maternità surrogata consente di disporre di nascituri a vantaggio di terzi. I bambini oggetto della transazione sono a tutti gli effetti considerati come una “merce” ottenuta con un contratto oneroso che prevede anche una titolarità dei genitori committenti sulle loro sorti in caso il feto oggetto del contratto risulti con malformazioni o “difetti”. Saranno infatti i committenti che avranno il diritto di assumere le decisioni mediche sul bambino che la madre surrogata sta portando in grembo. Il bambino diventa così solo “oggetto di un contratto”, privato finanche del diritto a conoscere le proprie origini biologiche.
Nel dibattito bioetico e biogiuridico attuale vi è una crescente legittimazione di un modello pseudo-oblativo, nella misura in cui si riesca a contenere i rischi per i soggetti coinvolti mediante una regolamentazione adeguata delle procedure di surrogazione.
A nostro avviso non è accettabile neanche questo modello “altruistico” in quanto la relazione ontologica tra madre e figlio ha una valenza incommensurabile per i soggetti coinvolti, che non può essere considerata come un prodotto di scambio. In Italia, fino a oggi, la giurisprudenza sancisce molto chiaramente il disvalore che l’ordinamento imputa alla maternità surrogata. Negli ultimi anni anche gli studi di psicologia prenatale hanno fornito particolari evidenze che vengono a rendere inammissibile la sussistenza di una maternità surrogata di tipo etico. In primis sul forte legame che nella gravidanza si innesta tra madre e feto. L’embrione e la madre iniziano un cammino a due in cui anche nel segreto dell’intimità fisica “la madre fa la madre”: il suo corpo accoglie in modo paradossale questo “corpo estraneo”; ma anche “il figlio fa il figlio”, pur nell’alba della sua comparsa, mandando addirittura cellule embrionali in circolo nel corpo della mamma, cellule che incredibilmente non solo non vengono distrutte dal soggetto adulto ma che possono in alcuni casi essere terapeutiche per lei. Per il figlio inoltre il periodo intrauterino è un periodo di relazione fondativa dove vengono a delinearsi relazioni significative.
Il progresso tecnico e scientifico può anche sfociare in derive che vanno arginate, può indurre – e lo abbiamo visto con la pratica della maternità surrogata – a cambiamenti radicali dei fondamenti antropologici, introdurre aberrazioni di cui il genere umano pagherà le conseguenze. La complessità, oltre che la enorme valenza delle dimensioni in gioco nell’esperienza della gestazione, sia per la gestante che per il figlio, ci consentono dunque di ribadire con piena convinzione l’inammissibilità della pratica della maternità surrogata anche in forma oblativa.
Presidente nazionale Forum delle Associazioni familiari