Con l’imminente scioglimento delle Camere, tra i disegni di legge che interromperanno il loro iter di approvazione c’è anche quello sul fine vita. Il ddl sulle disposizioni in materia di alleanza terapeutica, consenso informato e dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat), approvato al Senato nel 2009 dopo due anni di lavori, votato alla Camera nel 2011 con alcune modifiche e attualmente al Senato in seconda lettura, resta per ora lettera morta. «Sbalordito e addolorato per la mancata approvazione» si definisce Domenico Di Virgilio (Pdl), che alla Camera è stato relatore sul provvedimento. «Il disegno di legge è tornato al Senato da quasi un anno e più della metà dei senatori ne ha richiesto l’approvazione. Alla Camera è stato votato con oltre 260 voti segreti favorevoli, ottenendo un’ampia maggioranza e confermando che si tratta di un testo condiviso e per il bene del Paese. Di fronte a una tale evidenza ho il sospetto che forze occulte si siano opposte all’approvazione di questo disegno di legge». Sul futuro Di Virgilio appare dubbioso: «Non credo che il provvedimento così com’è troverà spazio nella prossima legislatura, il quadro politico è variegato e induce a immaginare un mutamento delle componenti politiche nelle Camere. Peraltro molte altre proposte di legge subiranno questo destino, anche quelle su cui è presumibile che ci sia il consenso di tutti. Qualche giorno fa è stato approvato all’unanimità in commissione in sede legislativa alla Camera un testo presentato da me sulla donazione dei farmaci inutilizzati alle persone indigenti, ma neppure questo è riuscito a ottenere l’ok del Senato ed è destinato a fallire».
«Nella prossima legislatura l’iter di approvazione dovrà ricominciare dall’inizio, però non è escluso che si possa riprendere questo testo come base da cui ricominciare la discussione» spiega Raffaele Calabrò (Pdl), relatore del provvedimento al Senato. «Sono rammaricato per la mancata approvazione di un testo così importante, anche perché dopo il diffuso dibattito nel Paese sarebbe stato giusto arrivare a una legge la cui utilità emerge dalla magistratura, dalla gente e da alcuni fatti di cronaca accaduti in questi anni. Nella fase di ritorno dalla Camera al Senato è cambiato lo scenario politico e vi sono state manovre di tipo ostruzionista che hanno allungato l’iter. In ogni caso, penso che il dibattito sia servito per riflettere su questi temi e su cosa significa legiferare a favore delle persone più fragili o gravemente disabili. Non do assolutamente per chiusa la partita, penso che gli scenari politici da qua alle elezioni potranno modificarsi, e la nuova legislatura potrebbe approvare la legge in tempi rapidi».
Nel frattempo cosa accade? Resta l’attuale mosaico normativo-giurisprudenziale, composto dalle norme del Codice penale che vietano l’omicidio del consenziente e l’istigazione al suicidio, oltre al favor vitae che emerge da tutta la Costituzione. In particolare, l’articolo 32 che riguarda la salute, specifica che «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti» e che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Come sappiamo, però, nella pratica queste norme di carattere più generale sono state applicate in maniera da portare a sentenze che legittimano l’eutanasia, come nel caso Englaro. La Cassazione in quell’occasione sancì che in caso di pazienti in stato vegetativo irreversibile, se l’istanza di sospendere i sostegni vitali sia «realmente espressiva, in base a elementi di prova chiari, univoci e convincenti, della voce del paziente medesimo, tratta dalle sue precedenti dichiarazioni ovvero dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l’idea stessa di dignità della persona», è possibile procedere con la richiesta del tutore. Tutore che alcuni hanno cercato di sostituire con la figura dell’amministratore di sostegno nominato preventivamente da pazienti ancora coscienti.
A complicare il quadro le decine di Comuni che hanno deciso di dotarsi di registri del fine vita municipali, come sta pensando di fare anche la giunta Pisapia a Milano nonostante qualche mese fa il collegio dei garanti avesse chiarito che la materia del fine vita non fosse di competenza comunale ma dello Stato. Una pratica dunque che rischia di illudere i cittadini, creare confusione e generare contenziosi, dal momento che queste dichiarazioni non hanno efficacia giuridica, anche se in assenza di una legge potrebbero costituire quell’elemento di prova espressivo della voce del paziente che la Cassazione detta come condizione per negare «l’incondizionata prevalenza al diritto alla vita, indipendentemente dal grado di salute, di autonomia e di capacità di intendere e di volere del soggetto interessato e dalla percezione, che altri possano avere, della qualità della vita stessa» (Sentenza 21748 del 16 ottobre 2007). Siamo al far west del fine vita.