La prassi è sempre la stessa, ormai da anni. Una coppia si rivolge a un tribunale (sostenuta dagli avvocati dell’associazione radicale Luca Coscioni) per ottenere ciò che la legge – e in particolare la legge 40 – gli vieta. E quel tribunale finisce per ordinare alla clinica di turno di contravvenire alla legge. Le novità, nel caso emerso ieri a Roma, sono due: per la prima volta è stato stabilito che la diagnosi pre-impianto (la tecnica genetica che permette di stabilire se gli embrioni fecondati siano sani o malati) sia eseguita in una struttura pubblica; e, ciò che è più grave, per la prima volta su una coppia fertile. Loro sono Rosetta Costa e Walter Pavan, da anni impegnati in una battaglia legale per avere un secondo figlio sano (in provetta) dopo che il primo è nato affetto da fibrosi cistica (naturalmente). La legge 40, però, stabilisce che l’accesso alle tecniche di fecondazione e alla diagnosi pre-impianto sia riservato alle sole coppie sterili o infertili. Il Tribunale di Roma invece ha dato ragione alla coppia e intimato alla Asl Roma di effettuare l’esame. «Una scelta che non spetterebbe affatto a un Tribunale», ha sottolineato Eugenia Roccella (Pdl), e che oltre a non essere generalizzabile «rischia di mettere in seria crisi la sanità pubblica».